EDITORIALE – Scendere dall’altalena

Vi capiamo, è difficile stare al passo di opinionisti, giornali, addetti ai lavori, siti specializzati. Dalle stelle alle stalle, dalla testa della classifica a un terzo posto verso cui soffiano minacciose le pretese ambiziose del Milan nuovo di zecca, della Roma di Di Francesco che si avvicina a trovare la quadra, della Lazio dell’ottimo e sorprendente Simone Inzaghi. Fino a qualche giorno fa le prime pagine quotidiane e le parole degli influencer più eminenti del panorama sportivo italiano non facevano altro che tessere le nostre lodi, incensare l’inizio della nostra stagione, l’impatto spallettiano, il pragmatismo, l’inserimento di alcuni acquisti.

Dopo martedì sera, sembra che tutti i problemi siano improvvisamente venuti a galla: troppe concessioni in difesa, centrocampo lento, Joao Mario che non funziona, Candreva che non riesce a crossare decentemente, Icardi che tocca pochi palloni. Come al solito, sembra che trovare un equilibrio tra sogni e disfattismo sia impresa impossibile, forse poco interessante, o forse è un qualcosa che richiede troppo lavoro, perché presuppone un’analisi che vada oltre i primi dati empirici che si imbattono ai nostri occhi, il risultato e la posizione in classifica. Certo, sono le cose che contano, ma dal momento che siamo appena a settembre, i giochi sono iniziati da poco e noi ci teniamo a voi e al vostro e nostro affetto verso la creatura nerazzurra, concediamoci una chiacchierata intelligente, una previsione consapevole, parole che vi tengano saldi e lontani dall’euforia dei giorni migliori che verranno e dal disfattismo dei tempi più cupi che potrebbero rimanifestarsi.

Fonte foto: screen partita

L’Inter 2017/2018 è una squadra che può e deve competere per il raggiungimento di un piazzamento in zona Champions League, soprattutto per l’allargamento dei posti disponibili per le squadre del nostro campionato. L’Inter è stata attrezzata per fare questo, nulla di più viene richiesto, nulla di meno sarebbe gradito. Lo Scudetto può fare gola quando si hanno 12 punti dopo 4 partite, ma anche 13 in 5, può essere un’aspirazione, un artificio, come ha detto oggi saggiamente Moratti, per mantenere sempre l’asticella alta e guardare costantemente in avanti e sopra di noi, consci del fatto che ogni centimetro mollato potrebbe risultare fatale.

Ma non è un obiettivo raggiungibile. Per le più svariate ragioni.

Perché Juventus e Napoli sono più collaudate, più lunghe, più esperte, più forti insomma. Perderanno molto poco per strada, perché hanno mezzi tecnici, consapevolezza e guide sicure alle spalle, sia in panchina che in società. La stagione della vita, purché capiti (modalità prima Juventus di Conte, per intenderci), non basterebbe. Perché non ci sono le varianti idonee, non ci sono squadre a fine ciclo, non ci sono squadre totalmente dipendenti da un solo calciatore e per il resto raffazzonate, c’è una spaccatura talmente ampia tra squadre medio-alte e medio-basse, che comporterà una minor quantità di possibili punti persi per strada e una necessità di raggiungere soglie considerate eccezionali fino a qualche stagione or sono (Allegri ha parlato di 90 punti necessari per vincere il campionato).

Perché l’Inter ha dei problemi a cui è difficile porre risoluzione, almeno a breve termine. Ha una rosa corta, tremendamente corta in determinati reparti, deficitaria di alcuni aspetti vitali. Senza giocatori dalla panchina che possano far nascere un fuoco dalla più debole delle scintille, aggrappata con le unghie e con i denti alla salute e allo stato di forma dei suoi interpreti migliori. Tre/quattro ottimi giocatori e altri sette/otto buoni o discreti, che possono evolvere o rimanere allo stato attuale, sono pochi per indossare il diciannovesimo alloro italico.

Sono però sufficienti per essere la base di partenza adatta dalla quale edificare un gruppo realmente competitivo ai vertici nei prossimi due o tre anni. Se il blasone è lì a ricordarci le ragioni e l’orgoglio del tifo, non deve rappresentare un obbligo di andare oltre le proprie effettive potenzialità. Ma un monito a giocatori, staff e dirigenti di cosa significa indossare e adoperarsi per certi colori, per una certa storia. E, sotto questo punto di vista, non possiamo di certo lamentarci ad ora. Perché 13 punti non si fanno casualmente, non sono il frutto di un’entità divina o tecnologica, ma dei goal di Icardi, del talento di Perisic, delle parate di Handanovic, della forza di Skriniar, della ferrea guida di Spalletti. Un allenatore che ha sempre dimostrato di saper cucire abiti di qualità senza possedere stoffe migliori di altri, di saper gestire episodi, momenti, situazioni, caratteri.

Joao Mario a Bologna è stato distratto, molle e impalpabile, verissimo, ma nelle primissime partite era stato determinante, preciso, a tratti geniale e dirompente. Non c’è quindi la certezza che sia un rebus irrisolto o un altro dei nostri incompiuti, magari è solo inceppato in una serata storta, o magari Spalletti entro un paio di settimane gli troverà una collocazione dalla quale sarà impossibile scalfirlo.

Dalbert si sta ambientando lentamente? Probabile, ma Nagatomo è finalmente una riserva credibile in grado di non offrire regali ai primi ben-capitati dalle sue parti e Cancelo è pronto a scalpitare lungo una delle nostre fasce. Borja Valero forse può accusare stanchezza di tanto in tanto, ma lui e Vecino sono forse peggio della legnosità dei Medel, dei Felipe Melo e dei Kondogbia che due anni fa ci hanno consentito di arrivare a un quarto posto che, a giugno, sarebbe risultato da accogliere con positività e contentezza? No, così come non è detto che Brozovic rimanga l’indolente degli ultimi mesi, ma che possa invece tornare a essere quel giocatore in grado di rimontare quasi da solo una semifinale di Coppa Italia contro la Juve, di essere una chiave tattica imprevedibile in sfide delicate contro Roma e Napoli. Chi lo ha detto che i 90 minuti di Bologna siano la regola di un futuro prossimo e non un’eccezione di 360 minuti iniziali da applaudire?

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Certo, ci sono ancora interrogativi a cui rispondere, ma chi non li possiede? Credete forse che tutti gli acquisti del Milan si riveleranno performanti e straordinari in egual misura? Pensate che solo per sfortuna la Roma non abbia segnato ai noi gli stessi goal di Benevento e Verona, o forse perché contro di noi son stati costretti a tirare da 3o metri e non a due passi dalla porta? Pensate che la Lazio non risentirà di un doppio impegno di giovedì che, storicamente, è sempre pesato nelle gambe di chi lo ha sostenuto?

Non fatevi perciò trastullare da quest’altalena di chi ci vede una volta primi e l’altra ottavi, una volta in lotta per il titolo fino all’ultima giornata e l’altra in procinto di qualificarci appena per l’Europa League, una giornata guariti e indomiti e un’altra spauriti e pieni di guai. Manterremo i nostri difetti nelle vittorie e i nostri pregi nelle sconfitte, come tutte le avversarie, sarà solo una gara per cercare la miglior continuità possibile. Icardi magari non segnerà a Benevento, ma sarà sempre l’uomo in grado di battere Buffon appena tocca palla in area bianconera. Candreva prenderà ancora le schiene di tanti terzini, ma chi ci dice che non possa segnare altre due reti nei derby? Poco tempo fa non avremmo mai vinto una partita del genere a Crotone e non saremmo mai riusciti a pareggiarla a Bologna. Se con poco si guadagna già abbastanza, immaginatevi quando si farà tanto. Magari quel giorno troveremo qualcuno più bravo di noi, ma non ci rimarremo male se sapremo davvero, con giudizio, cosa aspettarci da questa squadra al di là di ogni singolo match.

Scendiamo da quest’altalena di eccitazioni ed allarmismi, siamo come è stata finora l’Inter in queste prime 5 giornate. Regolare, con i piedi per terra e mai con la merda fino ai capelli. Che poi, con i look di Spalletti e Icardi, non ci vuole mica niente a togliercela di dosso.

 

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