L’alba del giorno dopo: il coraggio di rischiare (che ancora non c’è)

L’ennesima alba del giorno dopo dal risveglio amaro, con la consapevolezza di chi sa che sarebbe potuta andare meglio. Atalanta-Inter è terminata a reti inviolate. La vittoria avrebbe significato il naturale approdo in zona Champions, ma il pareggio è un’iniezione che limita i danni, che offre ancora la possibilità di una guarigione completa. Certo, con il derby romano alle porte, la vittoria avrebbe posto i nerazzurri in una posizione di forza, ma nella serata di Bergamo il nerazzurro era un accoppiamento che poteva destare confusione.

I LIMITI DELL’INTER

L’Atalanta infatti, almeno per un tempo, si è resa la più meritevole nell’indossare e nell’onorare quei colori. Un modulo relativamente nuovo e qualche giocatore in difficoltà nell’apprendere i nuovi dettami tattici ha portato scompiglio nella nerazzurra ideale, desiderosa di replicare le ultime prestazioni come livello di gioco.

I tre difensori però, con l’aggiunta di due ulteriori terzini quali Cancelo e D’Ambrosio, hanno tremendamente sofferto la continua esposizione alle folate bergamasche, penalizzati da un centrocampo carente nella fase di recupero/interdizione e incapace anche di alleggerire la pressione con un discreto possesso palla. La situazione è migliorata nella ripresa, ma restava notevole la difficoltà nel creare, con due difensori come Skriniar e Santon in ovvia difficoltà a giocare sul loro piede peggiore, il sinistro, sul settore mancino del campo per tentare di far ripartire l’azione con precisione ed eleganza.

I MANCATI AZZARDI DI SPALLETTI

Ed è qui che entra in gioco la figura del vate da Certaldo, spesso impeccabile e lucido nell’analisi delle partite. Il tecnico toscano si è però dimostrato ancora una volta molto restio nel crescere e formare adeguatamente qualche giovane promettente dal florido settore allestito negli anni da Samaden. La panchina del belga Emmers, uno dei più pronti al grande salto,  non è stata il preambolo per l’ingresso al posto di un Borja Valero esausto, boccheggiante, finito nel tritacarne degli avversari già dopo 20 minuti. La presenza di un giovane entusiasta quale Karamoh aveva conferito l’idea, un paio di mesi fa, di poter dare più imprevedibilità a un attacco spesso asettico, ma il francese si sta accontentando di briciole che non sfamerebbero nemmeno i clochard più disperati. Spalletti continua a pretendere qualità, ma a volte dovrebbe essere il primo a liquidare la paura di sbagliare e fallire, creando presupposti più interessanti per l’elaborazione di un gioco più tecnico e audace. Essere conservativi, in un momento chiave della stagione, rischia di essere deficitario. Ci vogliono quel genio, quel tocco e quella quintessenza in più che permettono di differire i migliori dai semplicemente bravi.

C’è bisogno di vittoria, di entusiasmo, di frizzantezza sbarazzina, e questi scopi potrebbero restare incompiuti se si insiste su giocatori magari molto affidabili, ma solo per consegnare un compitino da casa senza particolari guizzi, restando sulla sufficienza stiracchiata e mai allontanando lo spauracchio del debito di fine anno. E, a proposito di debiti, sprecare le entrare della Champions League rischierebbe di divenire delittuoso verso chi non avrebbe  la certezza di come poter e dover ripartire.

Ma il futuro è ancora distante e, in queste sei giornate che ci separano dalla conclusione del campionato, non ci si attende solo la voglia, la determinazione e il coraggio nel crederci. Servono pure le idee, le personalità, gli azzardi, i pensieri indecenti sulle proprie capacità e disponibilità. Perché bisogna fare qualcosa di eccezionale per rientrare nell’ordinario. E questo ad ora, nonostante alcuni fattori oggettivi positivi, non è affatto nelle corde dell’Inter.

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