L’insostenibile leggerezza dell’essere di Hector Cuper, l’eterno secondo

Hector Cuper può essere raffigurato come l’eroe dannato che a volte compare nelle saghe fantasy. Il taciturno paladino che però è stato maledetto e, per quanto si possa impegnare, non riuscirà mai a ottenere il tanto agognato lieto fine.

IL SUCCESSO, UN MIRAGGIO TANTO AMATO DA ESSERE ODIATO

Cuper e la vittoria, due rette parallele che non si incontreranno mai. Questo è probabilmente il motivo del fascino che la carriera di questo allenatore che, palmarés alla mano, sembrerebbe mediocre, suscita invece nei suoi ammiratori. Ovunque sia stato ha lasciato una tacca indelebile nei cuori e nelle menti dei tifosi, nel bene e nel male. Ha preso squadre scadenti portandole ad un passo dal miracolo, come a Valencia. Ha preso per mano dei “ronzini” trasformandoli in cavalli di razza, salvo poi finire perennemente azzoppati al fotofinish. Il suo nome suscita nei cuori nerazzurri sentimenti contrastanti. Certo, con lui l’Inter ha colto un tremendo 5 maggio e una “sconfitta” a suon di pareggi contro il Milan in semifinale di Champions League l’anno successivo. Tuttavia l’allenatore argentino ci ha sempre messo cuore, passione, anima e carattere, qualità rare nel calcio moderno. Il rispetto ed il perdono non si comprano si guadagnano. Ed Hector se li è guadagnati ampiamente, con il proprio lavoro ed il suo impegno. Pochi altri possono vantare tanto.

L’HOMBRE VERTICAL, UN CLINT SFORTUNATO

Ultimo irriducibile di un calcio ormai prossimo a scomparire, Hector ha una strano talento, che lo ha fatto amare e odiare dai tifosi nerazzurri e non solo. Prendere un sogno, portarlo ad un passo dal compimento e poi lasciarlo li, incompiuto, a disposizione di qualcun altro. “Prego, si accomodi”. Un eccesso di buona educazione quasi. Lasciare agli altri la possibilità di realizzare il proprio sogno, infrangendo il proprio. Il fallimento è stato così metodico nella carriera di Cuper da sembrare quasi un’opera di bene, un atto di misericordia verso gli avversari. Questo è stato il leit motiv dell’intera carriera dell’hombre vertical, l’uomo tutto d’un pezzo dallo sguardo da pistolero. Un Clint Eastwood sfortunato, che invece che sparare al cuore dei nemici li manca di pochissimo e si vede rimbalzare addosso il proprio proiettile.

PELLEGRINO DEL CALCIO SENZA SANTUARIO

L’hombre vertical ha cercato la fortuna ovunque, senza mai trovarla. Nel calcio che conta ha bussato più volte alle porte del paradiso, ma è sempre stato ricacciato indietro. Ormai, con l’ultima finale di Coppa d’Africa persa ieri, il sipario sta per chiudersi sulle possibilità di mettere un trofeo in bacheca. Tuttavia non diventerà un eroe dimenticato. Semplicemente sarà l’eroe maledetto. Quello di cui tutti avevano bisogno, ma che non si meritavano. Quello che era al momento sbagliato nel posto sbagliato. Ma pur sempre un eroe che ha fatto battere mani e palpiate cuori, un eroe dal coraggio ineguagliabile. Non uno Special One. Ma un uomo, nudo, ma sempre in piedi nelle sue cadute. Un Hombre Vertical.

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