Questione d’orgoglio, quello perduto

“A me che sono innamorato
non venite a raccontare
quello che l’Inter deve fare
perchè per noi niente è mai normale
nè sconfitta nè vittoria
che tanto è sempre la stessa storia
un’ora e mezza senza fiato
perchè c’è solo l’Inter”

Prendiamo come spunto le parole della canzone di Elio e Graziano Romani e ragioniamoci su. Niente è mai normale nè sconfitta ne vittoria e pensando all’Hapoel Beer Sheva le parole sono appropriate.

Orgoglio, questo perduto, attaccamento alla maglia, idem, identità, questa sconosciuta. Se c’è una cosa fastidiosa nella sconfitta è perdere senza lottare, senza avere un briciolo di attributi che nell’Inter vanno sempre scemando.

Non si ha una data ben precisa del decadimento, troppi casini, troppa confusione societaria, una proprietà straniera che da Thohir a Suning non ha capito che avere un’appartenza ad una squadra non è interesse, non è lucro, è una continua sofferenza, lo sapeva Peppino Prisco, lo dimostrava Massimo Moratti, il resto no, da capitan Ranocchia a Maurito Icardi.

moratti

Un giorno, tale Lippi Marcello allenatore pluridecorato in bianconero approda a Milano come fosse il Messia, dirige un allenamento e poi si rivolge a Zanetti: “Voi quando incontravate la Juve ve la facevate sotto”. Silenzio generale e risposta del Capitano, con la C maiuscola: “No mister non è vero. Lei si sbaglia”.

Questione d’orgoglio.

E oggi? Si critica Frank de Boer oggi ribattezzato crak, esaltato come fosse Mourinho con i tre cambi simultanei a Pescara che oggi a pensar male sembra una mossa di fortuna sfacciata, per non dire altro, poi criticato per la gara di Europa League e per tutta risposta il tecnico olandese dice di aver visto il suo calcio.

Amen.

Ma i giocatori? Chi dell’attuale rosa può alzare la testa e fare una ramanzina ai compagni? Nessuno. Verità o leggenda si narra di un discorso fatto da Zanetti all’attuale rosa che ha un capitano con moglie-manager che pressa per rinnovi vari, un laterale nipponico che non potrebbe giocare neanche in LegaPro, un centrale di centrocampo brasiliano che esce tra i fischi perché ormai ha perso anche l’istinto omicida, una delegazione di attaccanti che ieri erano simili alle Giovani Marmotte, il tutto condito da orribili maglie che sarebbero state un lusso al Festival di Woodstock.

In tutto questo ci si chiede, ma l’orgoglio? La risposta è complicata, il bivio di domenica non ammette vie di mezzo, vincere o morire, o morire almeno lottando.

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