Benvenuta Cina ma attenta, l’Inter non è un giocattolo, è una fede

Oggi alle ore 9 del mattino del 6 giugno 2016 può essere accaduto qualcosa che segnerà per sempre la storia dell’Inter, può essere, perché già ai tempi dell’avvento del “Vangelo secondo Thohir” si pensava a qualcosa di magico. Che stile, è arrivata la Cina nell’Inter, non l’Inter nella Cina, eppure qualcosa non torna.

L’atmosfera è quella tipica di un capodanno, è festa, tante faccine sorridenti e abbastanza sconosciute, il nerazzurro ovunque, traduttori presi da un’emozione che chiamiamo emozione per non dirla alla Mourinho o alla milanese, eppure una parte del tifo nerazzurro non riesce a esultare.

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E’ la parte “vecchia scuola”, che immagina che in qualche parte di Milano (o in vacanza o chissà dove) c’è una persona che guarda quei colori, quella festa, quegli abbracci, dicendo “Era la mia creatura, era la mia vita“. Parliamo di Massimo Moratti, assente alla festa del nuovo battesimo nerazzurro in quanto socio di minoranza, una carica che mal si sposa su chi ha sempre visto in tempi bui il presidente come ancora di salvataggio, “Tanto ci pensa Moratti”, e invece ora si trova al bivio tra l’esultare perché un colosso miliardario chissà che farà dell’Inter e l’inquietudine tipica dell’interista, quello che dieci minuti dopo aver vinto la Champions è triste perché va via Mourinho e magari viene ceduto anche Milito.

Caro Zhang Jindong, cara Suning, cara vagonata di miliardi di fatturato, l’Inter non è un giocattolo o un qualcosa che può ricavare una fortuna, non è un’impresa né un qualcosa usa e getta, è una fede. È la storia che passa da Meazza a Mazzola, da Zenga a Matthaus, da Ronaldo a Vieri, da Milito a Icardi, sono 108 anni di lotta contro tutto e tutti, di felicità e lacrime, di ricordi, di vittorie e sconfitte, di un qualcosa difficile da spiegare ad un partner orientale perché non ci si basa solo sulla simpatia, l’Inter è sangue, è passione, è un qualcosa che non avrà mai una valutazione, è Peppino Prisco che a voi Suning avrebbe messo in riga con qualche battuta, è, e resterà sempre, Massimo Moratti, uno che vive il 5 maggio, che sia 2002 o 2010  ma vive l’Inter come fosse la sua vita.

Ci si può augurare che il futuro sia rose e fiori, ma l’interista è già scottato dalla gestione Thohir, per carità ottima a livelli manageriali ma ad un bilancio in pareggio si preferisce sempre una vittoria, perché il tifoso vive di ricordi e quel 22 maggio 2010 inizia ad essere già lontano.

Caro Jindong, prima di lanciarsi in proclami da tutto in una notte parli con papà Moratti, lo guardi negli occhi e colga l’essenza, l’entusiasmo e la voglia di vincere, se ne saprà far tesoro sarà Grande Inter, ma si ricordi, l’Inter non è un bilancio economico, è una fede, col sangue nero azzurro che scorre in milioni di persone ed essere interisti è una cosa tosta, che non si insegna a scuola, è essere auto ironici, forti e preparati sempre a tutto, è anche uno stile di vita, fatto del nero della notte e dell’azzurro del cielo, di 108 anni di storia e di un amore pazzo che non finirà mai, anche oggi con l’entusiasmo e i proclami orientali.

Benvenuto Jindong ma attento, l’Inter non si discute.

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