Mister Condò, Mancini: “Genova, 15 anni stupendi, Lazio e il tacco che vorrei da Ljajic, Parma e uno scudetto da esonerato, il mio sogno è un debutto”

Roberto Mancini è il primo ospite della nuova rubrica di Sky a cura di Paolo Condò, il tecnico jesino si racconta alle telecamere di Mister Condò.

La carriera di Mancini non è banale, Bologna, Sampdoria, Lazio, poi allenatore, fino ai successi dell’Inter “Da piccolo, tredici anni e via di casa, tante volte ho pensato che da papà si è troppo piccoli, invece a me è successo, andar via da giovane ed avere solo un gettone per chiamare casa. Di giorno era anche bello, avevo la fortuna di giocare, ma la sera no, in convitto a Casteldebole con i ragazzi più grandi di noi c’era quasi nonnismo, era difficile, ho trovato per fortuna un bell’ambiente e una società ottima come Bologna, tranne il mangiare, veramente scarso“.

Il racconto di Mancini prosegue quasi a occhi chiusi per chi sogna il calcio: “E’ cambiata la vita, il modo di allenarsi, chi arriva dalla seconda categoria deve capire in fretta, sono fortunato a trovare grandi dirigenti o chi mi pescava subito se marinavo la scuola, capitò il primo giorno. Ero timido e con vergogna di entrare a scuola a Bologna, ero piccolo e non parlavo neanche un italiano corretto, avevo paura, mi son messo su una panchina a leggere un giornale, ma il mago Bicocchi (dirigente Bologna) mi tirò uno schiaffo per l’assenza, facendomi cambiare“.

Bologna era una città in cui si viveva benissimo, passai un giorno dopo la strage, ero con mio padre, non credevo ai miei occhi. Debutto a 16 anni, era il minimo come età, prendevo grandi calci, oggi è una passeggiata di salute. L’esordio con Burgnich, 13 settembre 1981, dalla Primavera alla prima squadra contro il Cagliari, ad un quarto d’ora dalla fine, incosciente e con momenti difficili perché non volevo proseguire con la scuola. Feci anche il magazziniere pur di non studiare. Volevo rimanere a Bologna nonostante la retrocessione in B, ma facendo cassa c’erano diverse offerte, tra cui la Sampdoria“.

Genova, Mantovani, Vialli, tre fattori nella storia di Mancini: “Paolo Mantovani mi volle alla Samp, una famiglia, gli anni più belli della mia vita, nella sfortuna di lasciare Bologna sono andato a Genova con tanti ragazzi giovani, anche se non mi aveva convinto come città la prima volta, poi ci ho vissuto 15 anni. Da Vialli a Lombardo, non so se sono esistite squadre così, non solo campo ma si viveva in simbiosi 24 ore al giorno, se arrivavano offerte si bloccava tutto, volevamo lo scudetto. Mi dissero che ero già allenatore in campo alla Samp, dovevamo vincere subito, non avevamo il blasone di Inter o Milan, nell’anno dello scudetto ricordo la partita di Napoli, dove abbiamo capito che dovevamo giocarcela e vincere, contro Maradona, lì capimmo che era la stagione giusta“.

La Samp era una squadra incosciente, battere chiunque, in quel momento scatta qualcosa e sai che arriva il traguardo storico, a San Siro contro l’Inter vengo espulso contro Bergomi, uscendo a braccetto ma beccando 2 giornate di squalifica saltando la gara dello scudetto. Col Barcellona fu una cosa unica, far cassa e cedere Vialli creò lacrime in ristorante, finiva lì la favola blucerchiata, dopo la cessione di Luca e la morte del presidente l’anno dopo“.

Poi Lazio da quasi pensionato, altra favola per Roberto mancini: “Due scudetti vinti senza mai giocare nelle tre grandi squadre, cambiai città dopo 15 anni di Genova, Roma era 3 volte più grande, un caos totale, ma la Lazio voleva vincere, squadra forte con investimenti enormi, tre anni importanti, i più belli della storia biancoceleste, abbiamo vinto anche poco per la qualità che aveva. Quel tacco a Parma fece arrabbiare gli allenatori, non viene a tutti, potrebbe farlo Ljajic quanto Medel senza farmi arrabbiare perché ho un debole per i colpi di tacco, l’avevo provato in allenamento con Sinisa, con Vieri che mi urlava abbracciandomi“.

A fine carriera ero stanco, il Leicester una parentesi ma volevo allenare subito, Eriksson mi diede subito la possibilità, pensavo di subentrare subito allo svedese ma invece preferirono Zoff così andai via in Inghilterra per giocare, ma una volta alla Fiorentina cominciò un’altra storia. Poi Inter“.

Mancini nerazzurro : “Mi chiamarono mister X all’inizio eppure ci furono grandi partite, arrivò poi il momento di vincere, tipo il derby vinto per 4-3. Era una partita che vincendo 4-1 ci ha dato consapevolezza, avevo una squadra che doveva solo vincere, Zlatan, Maicon, Dejan, fortissimi, poi Adriano, un giocatore che ha fatto poco dovendo e potendo fare tantissimo, doveva fare una vita da atleta, purtroppo lui ha peccato in questo. La Juve è sempre l’avversaria, vincere contro loro è sempre unico, a Parma nello scudetto di Ibra erano settimane senza Ibrahimovic, sotto pressione, giocare tutto all’ultima giornata, pioggia battente, ma fortunatamente Zlatan venne in panchina, ma non sapevo di non esser più l’allenatore dell’Inter. Sinceramente avevo appuntamento col presidente ma sul Corriere della Sera iniziai a leggere che qualcosa stava cambiando, le cose finiscono, così mi ritrovai a Manchester“.

Mancini racconta la sua Premier League: “In Inghilterra è tutta un’altra cosa, dal mondo in cui vive la partita l’arbitro, ma quell’1-6 all’Old Trafford è stato unico, arrivare al City non era facile, lo United dominava e i cugini erano rumorosi, ogni anno ci scrivevano gli anni in cui non vincevamo. Doveva cambiare la storia, e cambiò, anche grazie a Balotelli in quel derby. Ferguson non gradì molto il vino marchigiano che gli portai, ma solo a causa della sconfitta e del nervosismo, recuperammo 8 punti a 6 giornate dalla fine, dopo aver dilapidato un nostro vantaggio in classifica. Che boato per il 4-4 dello United con l’Everton mentre noi eravamo in pullman, all’ultima gara dovevamo vincere col Qpr, 4 minuti di recupero, sotto 2-1, poi gol di Dzeko su calcio d’angolo, pareggio, si salvano grazie ad una partita finita in contemporanea e si deconcentrano, palla per Balotelli, scivolata per Aguero, tiro, gol, brividi, avevamo scritto la storia“.

Si arriva ai giorni nostri, Mancini e la nuova avventura nerazzurra, follia e passione: “Se le squadre italiane avessero presidenti come Thohir il calcio sarebbe migliore, è una figura importantissima, per anni il campionato italiano è stato il più bello e deve tornare il più bello. L’Inter ha giovani promettenti, mi piacerebbe far debuttare un giocatore direttamente dagli allievi, senza passare dalla Primavera, come successo a me. Mourinho ha vinto una Coppa Campioni più di me, bisogna essere fortunati ad avere la squadra giusta nel momento giusto. Che fuoriclasse Dybala, ma purtroppo non riesci a prender tutti. La Nazionale per un allenatore è la cosa più bella“.

 

 

 

 

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