GdS – In casa Inter è bello ciò che è utile: prima la concretezza, poi il bel gioco

Coniugare l’utile con il bello, è sempre stato insito nella genetica nerazzurra. Come direbbe l’avvocato Prisco, che senso ha giocare bene e non vincere? Come riporta La Gazzetta dello Sport, la Beneamata ha sempre dimostrato che il fine giustifica i mezzi. Ad esempio la Grande Inter di Helenio Herrera, per i primi 2 anni non vince niente; il Mago era arrivato a Milano promettendo un gioco spettacolare e risultati. Il successo arriva nel ’62-’63, ed è figlio di un cambiamento tattico. Meno forma e più sostanza, catenaccio e ripartenze. Ed ecco che nasce la Grande Inter, non simbolo di bellezza ma concretezza.

Prima del Mago, ci fu un’altra Inter che vince giocando un calcio difensivo e utilitaristico. Quella allenata da Alfredo Foni, nel ’52-’53. Tutte le squadra usano il modulo WM, lui lo aggiorna: sposta il terzino Blason a battitore libero e mette Armanno a fare l’ala tornante. Molti storceranno il naso, ma l’Inter vince.
I successi nerazzurri sono sempre figli della sofferenze, più che della spensieratezza. L’Inter del Trap, ad esempio, all’inizio fatica, ma con pazienza riesce a mettere i pezzi in ordine e arriva lo scudetto dei record.
E come dimenticarsi l’Inter del Triplete con Mourinho, vincente ma non splendente: difesa solida e ripartenze micidiali. E la bellezza non sta in uno schema, ma nel successo dei tre titoli.

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