L’Inter e quella capacità innata di affermarsi e smentirsi

Quando nel calcio si parla di grandi squadre si fa sempre riferimento a un concetto che sicuramente è alla base di ogni successo: la continuità. Specialmente in una manifestazione sportiva duratura come un campionato di calcio, essere continui nei risultati, nell’intensità, nell’attenzione e in tutto ciò che si mette in quel rettangolo di gioco rappresenta la chiave di volta per quantomeno aspirare a un traguardo degno di nota.

Ormai sono anni che l’Inter ha perso lo smalto di top club che aveva prepotentemente riassunto fra il 2006 e il 2011 con tutti i successi, nazionali e internazionali, portati in bacheca. Soprattutto da più di due anni a questa parte questa squadra ha perso anche quella costanza nell’arco di singole settimane, senza parlare di intere stagioni che magari non vanno come si vorrebbero. 

Una squadra che per più di due stagioni non riesce ad inanellare più di due vittorie consecutive in campionato è esattamente l’emblema di quella mancanza di costanza che costituisce la vera differenza fra una grande squadra e un’eterna incompiuta. L’ultima rilevante serie di vittorie risale alla stagione 2012-2013 quando con Stramaccioni in panchina l’Inter ottenne addirittura 7 vittorie consecutive culminate con il grande successo ottenuto allo Juventus Stadium che probabilmente ha rappresentato il momento più alto in campionato dell’Inter post-Triplete. Tenuto conto che l’appellativo storico di questa squadra è Pazza, nessuno stupore se dopo essere arrivati a -1 dalla Vecchia Signora la stagione si concluse con un 9° posto a -33 punti da quella squadra che per una sera era stata davvero dominata in casa propria. Pura follia sportiva.

Da allora sono cambiati allenatori, giocatori, dirigenti e perfino presidente ma la storia è sempre quella. Nemmeno il tempo di apprezzare qualche spunto positivo, una giocata, una vittoria, una buona prestazione, che poi ci si ritrova punto e a capo. Quasi a voler volutamente restare in quel limbo fra l’ambizione di tornare grandi e la mezza consapevolezza che alla fine, per qualche motivo, si fallirà.

Ecco che il ritorno in panchina di un vincente come Mancini che soprattutto in questa piazza ha già vinto, può avviare un processo di crescita che tutti i tifosi auspicano e ben vengano anche innesti di livello internazionale che possano avere quell’estro, quella fantasia per risolvere partite che sembrano bloccate o alle quali non si riesce a venire a capo. Alla fine però si è sempre undici contro undici e per quanto un nome possa per un secondo far tremare le gambe a un inesperto giocatore avversario poi comunque nel momento decisivo ognuno pensa a fare il proprio dovere e quasi come fosse un’equazione matematica, chi ci mette più determinazione alla fine la spunta, in un modo o nell’altro.

Proprio questa capacità sembra mancare all’attuale Inter, come se un buon primo tempo giocato contro il Genoa  potesse cancellare tutti gli svarioni, gli errori, le incertezze e le difficoltà degli ultimi mesi. Come se quei 3 punti fossero stati una benedizione in grado di intimorire gli avversari permettendo di giocare già la partita dopo senza la stessa intensità, approcciando il match con superficialità e nell’eterna attesa che capiti qualcosa. Con tutto il rispetto per l’Empoli che avrebbe davvero meritato la vittoria ieri, l’Inter non può predisporsi a giocare contro avversari sulla carta inferiori con un atteggiamento svogliato come quello di ieri quasi accontentandosi di gestire un pareggio che non serve a niente.

Serve la voglia di spaccare in due le partite, serve il desiderio di prevalere sull’altra squadra, serve la determinazione che ogni persona dovrebbe mettere quando scende in un campo di calcio e soprattutto è necessario che questo coraggio sia messo in pratica sempre, perchè se si vuole tornare grandi tutto parte da quella semplice parola che da sola riassume il senso di ogni vittoria che si costruisce nel tempo: continuità.

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