Zanetti: “Real? Nessun rimpianto, ho seguito il mio cuore. La svolta è arrivata quando…”

Dopo Milito, Samuel e Cordoba, tocca a Javier Zanetti raccontarsi ai microfoni di Alessandro Villa nel quarto appuntamento con la rubrica “Inter Legends”, in onda questa sera su Inter Channel. Ecco le parole del capitano nerazzurro.

Cominciamo dall’inizio. E’ nel Talleres, la tua prima squadra da professionista, che vieni soprannominato “Pupi”…

“Quando arrivai al Talleres nel 1991 iniziai ad allenarmi con i nuovi compagni ed eravamo in tanti a chiamarsi Javier. L’allenatore, che allenava già mio fratello chiamandolo Pupi, ha trasferito a me quel soprannome”.

In quel periodo hai anche conosciuto Paula…

“E’ stato il mio primo amore vero. Quando l’ho conosciuta mi sono subito innamorato e da lì è iniziata la nostra storia d’amore, con tanta felicità. Insieme abbiamo percorso una strada che ci ha fatto arrivare molto lontano”.

Poi passi al Banfield e la partita contro il Boca Juniors cambia la tua carriera. Il telecronista, già conosciuto per il commento del gol di Maradona contro l’Inghilterra, inizia a chiamarti “El Tractor”.

“Il Banfield è stato un passo importante perchè la squadra era stata appena promossa in Serie A. Arriva la grande partita contro il Boca, alla Bombonera, con lo stadio pieno perchè era la prima giornata. Feci la gara perfetta e da lì tutti cominciarono a parlare di me”.

Quindi arriva l’Inter. Vieni acquistato insieme a Rambert…

“Fu una sorpresa per me, perchè nel mio percorso immaginavo di giocare prima in una grande squadra in Argentina. Invece è arrivata la chiamata dell’Inter. Fu una grande sfida cambiare continente così giovane. Moratti aveva preso Rambert perchè era il capocannoniere del campionato, io ero un terzino sconosciuto. Inoltre ero il quarto straniero della squadra e a quei tempi potevano giocarne solo tre. L’Inter, però, mi ha dimostrato grande fiducia e mi ha permesso di crescere”.

Nel primo anno, Ottavio Bianchi gioca con la difesa a 5, tu giochi a destra e Roberto Carlos a sinistra. Chiudi la stagione con due gol realizzati, entrambi contro la Cremonese.

“Avevo parlato con il mister e mi aveva fatto capire che avrei giocato io a destra. E’ stato importante sentire subito la fiducia dell’allenatore”.

L’anno dopo arriva Roy Hodgson e Moratti inizia a costruire un’Inter importante. La squadra arriva in finale di Coppa Uefa ma a San Siro Hodgson ti sostituisce al 120′ per inserire un rigorista come Nicola Berti. E’ l’unica volta che ti abbiamo visto reagire in maniera scomposta.

“Ero così giovane che non avevo capito il senso del cambio. Adesso che sono cresciuto riconosco di aver sbagliato in quel momento. Però ci tenevo tantissimo a quella finale e mi è dispiaciuto uscire. In ogni caso i media hanno costruito un grande caso attorno a questo episodio, ma noi ci siamo chiariti subito sul campo e tuttora abbiamo un grande rapporto. Purtroppo però quella finale l’abbiamo persa”.

L’anno dopo, però, hai l’occasione di rifarti. Nel ’98, a Parigi, contro la Lazio. Vincete la Coppa Uefa e segni il gol del 2-0.

“E’ stata una finale straordinaria. Siamo riusciti a riscattarci l’anno dopo aver perso la finale in casa. Ho segnato il secondo gol su assist del mio amico Ivan Zamorano. Ho visto mio padre piangere in tribuna, è stato uno dei momenti più belli della mia carriera. Il mio primo trofeo internazionale con la maglia nerazzurra, non lo dimenticherò mai. Simoni aveva creato un grande feeling tra di noi”.

Quell’anno ci fu anche lo storico episodio Ronaldo-Iuliano. In quel caso persino un uomo composto come Simoni riuscì a perdere le staffe, urlando “si vergogni!” all’arbitro.

“Fu una cosa talmente evidente… eravamo arrabbiati, anche perchè ci giocavamo le scudetto. Purtroppo siamo rimasti con le mani vuote, ma sappiamo tutti com’è andata”.

Nell’Inter di quell’anno c’era anche Taribo West, che ti offrì l’assist per il tuo primo gol in un derby…

“Taribo era pazzo (sorride, ndr), dentro e fuori dal campo. Avevo un grande rapporto con lui, un ragazzo straordinario, allegro, sorridente e sempre con la battuta pronta. Mi fece un grandissimo assist, mettendomi a tu per tu con Abbiati. Fu il mio primo e unico gol nel derby. E’ stato importante perchè ci ha permesso di pareggiare la partita”.

Poi 4 anni in cui si avvicendano tre allenatori. Il primo è Lippi…

“Su Lippi c’erano grandi aspettative, anche perchè erano arrivati giocatori di livello internazionale. L’inizio fu molto promettente, ma poi ci siamo persi e non siamo riusciti ad amalgamare le idee giuste per portare l’Inter in alto”.

Gli succede Tardelli, che voleva addirittura cederti a fine stagione…

“Fu un anno particolare, difficile. Non era semplice rimediare a questa situazione. Le mie caratteristiche forse non gli piacevano, ma mi ha fatto fare tutte le partite perchè ha capito che potevo dare il mio contributo. Sapevo che mi avrebbe voluto cedere, ma io non ho mai pensato un secondo a un futuro lontano dall’Inter”.

Quindi Hector Cuper, che arriva a un pelo dalla vittoria dello scudetto…

“Cuper non lo conoscevo, pur essendo argentino. Ci siamo incontrati per la prima volta in aereoporto e lui mi ha detto che sarei dovuto restare in squadra. Telefonai subito a Moratti chiedendogli quale fosse la mia situazione. Il presidente mi ha spiegato che nessuno mi avrebbe voluto cedere. Cuper è stato un tecnico importante e da lì, secondo me, è arrivata la svolta per l’Inter”.

Nel 2004 arriva Roberto Mancini. L’Inter cambia modo di giocare e diverte anche…

“Mancini ha dato la sua impronta. Venivamo dalla gestione Cuper, con il sogno di aprire un ciclo. Abbiamo iniziato a costruire una squadra competitiva, che potesse esprimere anche un buon calcio”.

Arriva il primo trofeo nazionale, la Coppa Italia, ma la alza Cordoba perchè tu sei impegnato nella Confederations Cup. La prima coppa che alzi in Italia è quindi la Supercoppa italiana, al “Delle Alpi” contro la Juve.

“Ebbe un sapore molto particolare, per la grande rivalità e perchè fu una partita interminabile, chiusa ai supplementari grazie a un gol di Veron. Alzare quel trofeo in casa della Juve ci permise di dare continuità alla nostra voglia di vittorie”.

Nel 2006 arriva Ibrahimovic, l’Inter non ha più scuse e deve vincere. C’è grande pressione, la squadra paga questo clima per 45 minuti nel primo tempo della Supercoppa italiana contro la Roma. Ma tra secondo tempo e supplementari ribalta il risultato vincendo 4-3. Da lì parte la grande storia dell’Inter.

“Quella partita fa parte della nostra storia di ‘Pazza Inter’. Subiamo tre gol nel primo tempo, ma poi diventiamo inarrestabili. Per fare una rimonta così serve grande personalità. Noi ci credevamo e l’abbiamo dimostrato fino alla fine”.

La svolta del match arriva con l’ingresso di Maicon. In pochi lo conoscevano, ma tu gli hai ceduto la fascia destra e ti sei reinventato centrocampista.

“Giusto fare spazio a un grandissimo come lui. Io sono avanzato a centrocampo e siamo riusciti ad esprimerci al meglio insieme. Maicon ci ha dato tantissimo, dentro e fuori dal campo”.

Quell’Inter è inarrestabile, stravince lo scudetto e sta per ripetersi l’anno dopo, ma l’infortunio di Walter Samuel nel derby complica le cose. La Roma si avvicina e sta per portare a casa i tre punti nello scontro diretto. All’88’ però arriva il tuo gol a pareggiare i conti e mantenere invariate le distanze dai giallorossi…

“Fu una serata molto sofferta. Stavamo perdendo 1-0 con un uomo in meno. Nei minuti finali siamo andati tutti in avanti e la palla giusta è capitata sui miei piedi. Fu un gol dal significato incredibile, che ci permise di blindare lo scudetto. Non dimenticherò mai quella serata, anche perchè dedicai il gol a Paula che era in tribuna ed era incinta”.

Sempre contro la Roma segni il tuo primo e unico rigore, regalando la prima coppa a Mourinho…

“Quando Totti ha sbagliato il rigore decisivo, siamo andati ad oltranza. Ci guardavamo tutti, ero rimasto solo io (sorride, ndr). Avevo la tranquillità che Juan aveva sbagliato prima di me. E’ stata una grandissima gioia, non ho neanche fermato la corsa dopo aver calciato”.

Arriva anche il quarto scudetto consecutivo, con largo anticipo…

“Con Josè è cambiata la nostra mentalità. Cercavamo di andare su ogni campo per imporre la nostra forza”.

Poi, però, bisogna fare qualcosa in più per competere in Europa. Allora va via Ibrahimovic, arrivano cinque nuovi giocatori e inizia l’anno della leggenda. Qual è stato il momento della svolta?

“Sono arrivati grandissimi giocatori e già l’anno prima contro il Manchester United avevamo capito che, eliminazione a parte, qualcosa stava cambiando. Non è stato facile perchè nell’intervallo a Kiev eravamo fuori dalla Champions. Proprio lì però abbiamo rischiato cambiando modulo e vincendo la partita all’ultimo minuto. Da lì abbiamo intuito che c’era qualcosa di speciale, che ci avrebbe portato a lottare con i più grandi club d’Europa. Abbiamo battuto il Chelsea, una delle squadre favorite, a Londra. Mourinho preparò benissimo la partita, chiedendoci di limitare gli inserimenti di Lampard e di non far arrivare palla a Drogba. Eravamo consapevoli della nostra forza”.

Fu un anno esaltante, ma non facile, perchè l’Inter riuscì a conquistare tutto solo nell’ultimo mese, dopo aver superato tante difficoltà.

“E’ vero, potevamo vincere tutto ma anche perdere tutto. Ricordo ancora quanto fu difficile la partita di Siena, al di là ovviamente della notte del Camp Nou”.

Poi, come un film, arriva la settocentesima presenza nella gara più importante della storia recente dell’Inter: la finale di Champions League.

“Sembrava tutto scritto. Dopo la partita col Barcellona, ricordo che durante la doccia ci rendevamo conto che mancava solo un passo. Fu una serata magnifica, ricordo ancora il momento in cui siamo usciti per fare riscaldamento. Vedere la nostra Curva e sentire quell’atmosfera. Non potevamo perdere. Era la mia prima volta al Bernabeu ed era la mia 700^ presenza. Sembrava davvero un film, per fortuna con un finale magnifico”.

L’anno successivo arriva il tuo primo gol in Champions e segni anche contro il Seongnam nel Mondiale per Club…

“Contro il Tottenham fu un bellissimo gol su assist di Eto’o. Fu una partita spettacolare, ma pazza perchè quasi ci facemmo riprendere da Bale in superiorità numerica. Nel Mondiale per club, invece, fu un uno-due spettacolare con Milito. In tribuna c’erano mia moglie e i miei figli. Ancora una volta vicini al loro papà. Fu fantastico!”.

In quella stagione arriva il quinto trofeo del 2010: la Coppa Italia vinta a Roma contro il Palermo…

“Con Leo avevamo un feeling particolare e quella coppa ebbe un significato speciale perchè ci permise di dare continuità al nostro ciclo di vittorie. E’ stata una bellissima finale, contro un Palermo che sognava una serata storica”.

Il Palermo ritorna nella tua storia perchè è proprio contro i rosanero che subisci il primo grave infortunio della tua carriera…

“Capii subito la gravità del problema. Per tanti era la fine della mia carriera, ma per me non è stato così. Ho detto subito che avrei voluto fare almeno un’altra partita davanti ai miei tifosi e così è stato. Il rientro con il Livorno fu davvero emozionante, mi sono sentito davvero realizzato”.

In quei mesi cominci a capire davvero cosa sei stato per il mondo del calcio. Arrivano auguri di guarigione da ogni parte del mondo…

“E’ stato bellissimo perchè mi ha fatto capire quello che sono riuscito a fare nella mia carriera”.

C’è una persona che è rimasta non solo nel tuo cuore, ma anche in quello di tutti gli interisti: Peppino Prisco.

“Avevo un grandissimo rapporto con l’avvocato. Lui e Giacinto (Facchetti, ndr) ci guardano dal cielo e ci danno sempre una grandissima forza. Loro hanno fatto grande questa società”.

Eppure nella tua storia ci sarebbe potuto essere anche il Real Madrid…

“Ho grande rispetto per il Real, ma sono sempre stato convinto di aver fatto la scelta giusta seguendo il miocuore”.

 

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