L’uomo in meno

8 maggio 2013: è la data dell’ultimo rigore assegnato all’Inter. Sottolineare questo dato non vuole dire dare un alibi alla scarsissima mole di gioco prodotta dalla squadra nelle ultime partite, semmai esso è indicativo di un problema tanto grave quanto irrisolto della società.

Se è vero che nel calcio si può sbagliare e gli arbitri non sono da meno, è vero anche che si ha una chiara tendenza a sbagliare di più sapendo che un eventuale errore avrà poche conseguenze. E’ quello che succede quando la classe arbitrale ha a che fare con l’Inter. L’arbitro non vede il rigore, mettiamo, poi che succede? Poco o nulla: qualche urlo dei giocatori, la tensione che sale per alcuni secondi, magari Mazzarri che sbraita dalla panchina e poi nella conferenza stampa post match, tutto qui. Risultato: la giornata successiva si ripete lo stesso episodio, con ingredienti simili, e si può andare avanti per un bel po’.

L’anno scorso furono 24 le giornate consecutive senza un rigore assegnato all’Inter. Un dato che ha del grottesco. Ma è solo la conseguenza di un errore più grande: il fatto che i nerazzurri abbiano deciso di giocare con un uomo in meno. In inferiorità numerica, praticamente. Sì perché manca da tempo nell’organigramma societario dell’Inter una figura che si occupi di far sentire le ragioni del club in Lega Calcio, dalla questione stadio fino ai sopracitati torti arbitrali, che sappia intrecciare buoni rapporti con la stampa e le televisioni per evitare alcune pressioni mediatiche eccessive, che faccia da tramite tra allenatore e presidenza. Un uomo simile, alla Leonardo per intenderci, all’Inter non lo hanno mai visto: così la squadra continua a giocare con un gap evidente, sperando che il problema si risolva da sè o venga superato grazie alla bravura dei giocatori e dell’allenatore.

La speranza era che, col cambio societario per forza di cose venisse scelto qualcuno per ricoprire un incarico simile; non a caso a pochi giorni dal signing il nome di Leonardo veniva accostato con insistenza alla nuova presidenza nerazzurra. Col passare dei giorni si è capito che tale rivoluzione societaria non è avvenuta, nè si capisce se in futuro avverrà. Thohir ha ereditato una struttura frutto del modus operandi di Moratti, presidente accentratore che non ha mai voluto nominare un uomo di fiducia che seguisse costantemente la squadra laddove al presidente non fosse possibile, pur di scegliere sempre in prima persona e di non delegare a nessuno poteri e competenze. Così facendo si è arrivati ad una situazione in cui l’Inter è l’unico grande club italiano a cui manca quella figura fondamentale: la Juventus ha Marotta, il cui arrivo nella società bianconera è coinciso non a caso con il primo scudetto di Conte; i cugini hanno Galliani, dirigente modello sul quale è superfluo spendere parole.

La poltrona dell’Inter è invece vuota. Un vuoto che pesa ancora di più dal momento del passaggio di consegne della maggioranza della società. Perchè Thohir è stato presente all’inizio, mostrando grandi capacità comunicative, salvo poi, inevitabilmente, tornare in Indonesia, dove ha la famiglia e gli affari, e gestire il giocattolo a distanza. Non poteva sapere Erick, che al momento si sta concentrando sull’arduo compito di promuovere il marchio Inter e di mettere a posto i conti della società, che Moratti, a cui spetterebbe ancora la parte tecnica, quella cioè più legata alla squadra, si sarebbe dileguato in men che non si dica: non era allo stadio per il derby, non parla ora che l’Inter è in crisi di gioco e risultati. Della serie “hai voluto la bicicletta? Allora pedala”.

In questi giorni di involuzione tecnico tattica, dopo l’eliminazione dalla Tim Cup, presentata come l’unico trofeo abbordabile per la squadra, gli interisti navigano in un mare di dubbi e di incertezze. L’uomo che dovrebbe rispondere a queste domande però non è Thohir, nè dovrebbe essere Moratti, bensì un dirigente con la giusta esperienza che, parlando con il Presidente e l’allenatore, possa illustrare ai tifosi e ai media quali sono gli obiettivi della squadra. In assenza di questa figura è naturale che alcune scelte risultino incoerenti e contraddittorie e l‘allenatore di turno si stanchi di dover fare anche il direttore generale, come faceva Stramaccioni ai tempi del caso Sneijder.

L’unico momento in cui l’Inter ha vinto tutto, superando questo problema, è stato quando sulla panchina siedeva un altro accentratore: Mourinho, lui sì che era capace di fare un po’ tutto, riunendo nella sua sfera anche competenze di altre persone. Ma siccome quei tempi e quel personaggio sono lontanissimi, ora serve soltanto risolvere questa lacuna e tornare a giocare, finalmente, con lo stesso numero di uomini.

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