I SIGNORI DEL CALCIO – A tutto Moratti: da Mou a Ronaldo, dal padre Angelo a Thohir…

Intervistato da Giorgio Porrà per la rubrica “I Signori del Calcio” in onda su Sky Sport, Massimo Moratti ha raccontato alcune delle tappe più importanti della sua avventura da patron dell’Inter. Ecco le sue parole:

C’è l’impressione che non sia cambiato niente, invece molte cose sono accadute. C’è più sollievo o paura di aver voltato pagina?

“Non ho ancora approfondito i miei sentimenti su tutto questo. Sotto certi aspetti lo considero talmente giusto il fatto di passare la mano dopo tanto tempo, mi sembrava una cosa da farsi. Il personaggio Thohir è relativamente intimorito, persona che le piace molro questo ambiente in cui è capittao, si accorge del peso che questa cosa abbia e che è difficile immaginarsi da lontano, ma allo stesso tempo ne è anche affascinato. Vado comunque sempre allo stadio? Io sono allo stadio a fare il tifo. Durante la partita ti dimentichi di cosa sei in quel momento, la partita è bella in quanto la segui senza freni dal primo al 90esimo minuto. Molte volte stai zitto perchè sei terrotizzato, ma è bello anche sfogarsi”.

Suo padre Angelo diceva che l’obbligo principale di un presidente è distribuire felicità tra la gente. Lei pensa di aver centrato questa missione?

“L’interista di per sè è bello proprio per questo, è un tifoso attentissimo, un po’ presidente, un po’ allenatore, un po’ snob. Il che lo fa un tifoso speciale. Ed è per questo che è bello essere presidente dell’Inter perchè i tifosi sono difficili, speciali, riconoscenti, ma non si lasciano andare nè nell’estrema felicità nè nell’estrema disperazione. Altro argomento è perchè uno fa una determinata cosa. Mio padrte era una persona generosissima e credo che abbia preso l’Inter proprio perchè ci teneva a far crescere questa squadra, ci teneva che diventasse sempre più importante. Più o meno la stessa cosa è successa a me e devo dire che è si un difetto forse pensare che gli altri siano contenti e quindi tu automaticamente sei felice però devo dire che forse è anche uno scopo e quindi questa è una delle cose più belle”.

Il noto giornalista Michele Serra poco tempo fa ha scritto che, prima che si aprisse quella parentesi felice del suo ciclo, l’interista quasi si compiaceva di far parte di un’antologia della sfiga. Il merito di Massimo Moratti è stato anche quello di portare via quest’idea?

“Faceva parte della personalità della Società, di una storia. Lo snobbismo di cui parlavo prima sta proprio nel fatto di sentirsi particolari, più intelligenti, più sofferenti. Era una bella cosa, ma anche una bella cosa da superare. Fortunatamente siamo riusciti a superarla, devo dire che c’era pure del compiacimento, qualcosa di spiritoso anche. Adesso io non voglio entrare in cose serie, ma c’erano anche delle giustificazioni dietro questa sfiga (ndr, sorride)“.

In che cosa Massimo Moratti ha ripercorso il percorso di suo padre?

“Certamente mi ha trasferito molto per mille ragioni, perchè era stata molto intensa l’avventura, molto diretta l’esperienza di papà nell’Inter e di conseguenza la nostra. Lui ci trascinava, ci coinvolgeva in qualsiasi incontro, anche delicato, ci faceva partecipare sempre. Questo tipo di esperienza è stata utile per me per capire poi come gestire le cose anche se il mondo intorno è certamente cambiato in tutto, nella comunicazione, nella gestione dei calciatori, nei procuratori. Tutte cose che non sono negative, ma che sono una complicazione. Quindi io ho dovuto reagire man mano a tutte queste cose e l’ho fatto senza l’ambizione di dominare tutto, ma cercando di vivere tutto con il piacere e il privilegio di fare questo tipo di compito. Mio padre certamente è stato un personaggio fantastico quindi non ci sono paragoni da fare se non quelli del dna si e della passione”.

Prendere in mano l’Inter come esperienza terapeutica e per crescere e non per fare business?

“Per molti può essere un businness, per noi no. Però può essere una palestra stupendaper capire il businness, nel senso che nel calcio è tutto talmente veloce e poi il ritmo che ha ti mette in condizione di dover risolvere tutto velocemente e di dover saper affrontare il tuo lavoro e le altre cose che fai con un ritmo nuovo e una pazienza diversa.Non cambi carattere, se sei un reattivo sei reattivo, ma mpari a pensare un po’ di più, a sopportare un po’ di più”.

Questa immagine di Moratti come il racconto di un presidente troppo buono che si trastulla con il giocattolo calcio le dà fastidio?

“Sì che mi ha dato fastidio, non sono mica scemo. Ma ognuno fa le cose secondo il proprio carattere, ma anche secondo la soluzione che segua il disegno che tu hai scelto. Si puà sbagliare, ma si senza dubbio. Chissà quante volte ho sbagliato e fatto male a qualcuno senza rendermene conto nella strada che facevo. Ma poi con l’Inter..ditemi che trastullo era (ndr, sorride). No, non lo era assolutamente”.

Ci sono analogie rapporto Angelo Moratti-Herrera e Massimo Moratti-Mourinho? E’ vero che suo padre qualche volta imponeva la formazione ad Herrera?

“Mio padre in due o tre incontri con l’allenatore, nei momenti topici e’ capitato. Non aveva piacere a farlo, non si sentiva un tecnico ma era un’intervento per cercare di muovere le acque. A me è capitato però devo dire che non me ne vanterei come non se ne vantava mio padre. La capacità di un allenatore intelligente è cogliere certi consigli capendo la responsabilità di un presidente, come qualcosa che il presidente fa per aiutarti. E comunque un allenatore deve avere il sostegno del presidente”.

Il Mago era veramente Mago? In cosa poteva essere simile a Mourinho?

“La caratteristica di Herrera e di Mourinho che li fa somigliare tantissimo, oltre che la forte personalità, è il grande lavoro che facevano. Herrera sapeva tutto del calcio mondiale in un’epoca nella quale non c’erano computer, c’era solo la radio e un pochino di televisione. Si alzava presto al mattino, aveva contatti con tutti, a meno che volasse…”.

Come mai Mourinho ha saputo incidere così tanto nell’Inter?

“La sua vera diversità è stata la sua personalita, e ripeto il grande lavoro, la conoscenza del calcio, la capcaità di capire glòi altri, il senso del comando però misurato, un certo fascino nei confronti dei giocatori. Poi era a suo modo, in certe cose, un umile lavoratore. Quando l’ho preso non pensavo di portarlo all’Inter immediatamente op meglio era solo un riparo perchè Mancini mi aveva detto che voleva andare via e gli ho detto che volevo solo sapere se era libero o meno. Lui da quel giorno si è messo a studiare tutto. Io ero al 50 per cento tra lui e Mancini, ma lui aveva già studiato tutto dell’Inter”.

Era davvero umile? Dall’esterno non lo sembrava affatto…

“Le dirò che apprezzo molto un gesto d’umiltà da chi in realtà non lo è”.

Mourinho, il momento in cui lo ha più amato e quello in cui lo ha più detestato? Si può dire che i due momenti siano concisi.

“La scena del salire nell’auto del Real il giorno della Champions l’avete vista più voi, noi l’abbiamo vissuta meno. Ma ripensandoci è stato anche giusto dal momento in cui non voleva stare più li. A noi andava bene ci portasse la benedetta Coppa dei Campioni poi il fatto che potesse tentare personalmente anche una nuova avventura. Lì non l’ho odiato assolutamente”.

Le era piaciuto il gesto delle manette?

“Se dico che mi era piaciuto mi danno dell’incivile, ma il personaggio è quello, lui è cosi teatrale, lo devi prendere conoscendo il personaggio”.

Il campione più amato è stato Ronaldo? Che ricordo particolare ha di lui?

“Lasciando stare i ricordi calcistici, che quelli ce li abbiamo tutti delle belle cose che ha fatto, la drammaticità del suo incidente a Roma quando si è spaccato il ginocchio. L’ho trovato sempre molto sveglio, capace di capire al volo gli stati d’animo miei e della squadra. Era affezzionato perchè era generoso, condivideva i sentimenti. Non è che abbia mai avuto rapporti stretti con i giocatori, devi avere al momento una fotografia di colui che ti trovi di fronte. Ronaldo era uno di quelli che ti rimaneva più impresso”.

Certo non ha brillato per gratitudine andando poi a giocare altrove?

“E’ molto divertente che io mi senta sempre tradito dai giocatori che vanno via. Non è che non mi sento tradito perchè non è qualcosa di grave, ma perchè questi nell’ambiente calcio non sono tradimenti. Il giocatore ha l’ambizione di andare avanti nella sua carriera, mi sono sempre stati grati”.

Il campione che non ha mai preso? L’infatuazione per Cantona fa pensare che le piacciano due tipologie di calciatori, sia i chirichetti che i cosiddetti bombaroli?

“I campioni ti attirano e Cantona era uno di quelli. E’ chiaro che la disciplina è importante in una Societrà, anche se hai sempre l’attrazione per quello un po’ matto che sai che prima o poi può inventare qualcosa di nuovo, questo in qualsiasi mestiere e quindi anche nel calcio”.

E’ vero che aveva fatto un tentativo per prendere Leo Messi? E’ stata una forzatura giornalistica o ci siamo andati vicini?

“Vicini no, lui non aveva ancora esordito nel Barcellona, l’avevo visto in una partita Under 20 o Under 18 e avevo chiesto notizie. Poi il Barcellona aveva aiutato anche il ragazzo molto nella sua crescita, con la sua salute e non mi sembrava una cosa carina fare delle richieste. Il padre è andato poi a informare il Barcellona che aveva avuto delle richieste e che forse era il caso di fargli un contratto e da lì è partita la carriera di Messi”.

E’ vero che quando ha preso Zanetti stava per prendere Ortega?

“No, non stavo per prendere Ortega. Credo mi avessero mandato questa videocassetta per vedere Ortega, ma a me aveva chi era impressionante e mi aveva stupito era Zanetti. Mi sembrava un giocatore particolare, ma mai avrei immaginato avesse potuto fare tutto quello che ha fatto, per la continuità che ha avuto”.

Nella sua biografia, Zanetti ha un po’ sorpreso perché dice qualcosa di non positivo su un allenatore, Tardelli?

“Ha sorpreso anche me, ma si vede che i due non andavano d’accordo”.

A proposito di infatuazioni. A lei piacciono molto quei personaggi a metà tra il calcio e il racconto. Si ricorda un aneddoto di Valdano che in una conferenza parlava di relazioni tra calcio e politica, lei si era dilegua e quando le avevano chiesto del perchè se ne fosse andato, aveva risposto che era talmente sedotto dal discorso e dalla presenza di quella persona che gli avrebbe subito fatto un contratto?

“Non ricordo se sia stato proprio cosi, ma nella vita non solo nel calcio sei sempre conquistato da chi ha fantasia, coraggio e capacità di andare oltre con la testa. Questo vale anche per i calciatori. Mi piacciono le persone che fanno cosi”.

L’Inter che tipo di creautura è a livello di gioco e ideologica?

“L’ideologia dipende anche dal tipo di personaggio che è il presidente e da quanto lui influisca sulla Società e sui tifosi nel momento in cui è proprietario”.

Se le dico Juventus qual è la prima immagine, evento, che le viene in mente? La sua decisione di distacco dal calcio deriva anche dagli avvenimenti di Calciopoli?

“No, anzi la battaglia ti tiene vivo e ti dà la spinta per combattere. Al momento attuale con la Juve c’è un buon rapporto e con la famiglia Agnelli c’è sempre stasto un ottimo rapporto, poi c’è stato chiamiamolo un intervallo di partecipazione di altre persone che ha peggiorato questi rapporti. Poi che tra Inter e Juve ci sia normale antogonismo si sa, ma non sono queste le cose che mi hanno allontanato, semplicemente penso che dopo 18 anni sia sato giusto andare via”.

Milan, in tutti questi anni che tipo di rapporto si è creato con Berlusconi?

“Non c’è stata neanche una grande frequenza. L’ho sentito qualche volta, lui è stato sempre gentile e amichevole nei miei confronti. Una vita parallela con due squadre nella stessa città e naturalmente vuoi sempre andare meglio dell’altra squadra”.

Rivoluzione in casa Milan, che cosa ne pensa?

“Penso sempre che i figli siano sempre un po’ gelosi delle persone di fiducia del padre. Se è successo a me? No, no. Barbara vorrà dimostrare di essere brava, Galliani resterà a darle una mano”.

Ci può spiegare la sua fissazione per Recoba? Che cosa è sfuggito ai più che invece ha visto lei?

“Ero diventato maniaco purtroppo… (ndr, sorride). Per me è un fenomeno, sinceramente, per me è il più grande giocatore che abbiamo mai preso”.

Cedere l’Inter è stato quasi cedere un pezzo di cuore. Che cosa ha visto in Thohir?

“Mi ha convinto prima di tutto l’interesse a fare questa cosa che ti fa capire che c’è una volontà forte e una forma di passione. Poi devo dire, una persona gentilissima da tutti i punti di vista, molto discreto, risevato, rispettoso”.

Quale è stata la sua prima raccomandazione?

“Adesso non ricordo qualcosa di particolare, ma mi dispiace dare dei consigli definitivi perchè ripeto una Società la si gestisce anche in base ai propri sentimenti. Puoi raccontare la tua esperienza, ma non in termini educativi”.

Certo è che appena è arrivato, Thohir ha responsabilizzato l’ambiente Inter parlando del modello Bundesliga e dei giovani. Ci sono le premesse per ricominciare a pensare in grande?

“Nessuno di noi ha mai smesso di pensare in grande, possono esserci degli incidenti di percorso però sono sempre perchè hai in mente di fare qualcosa di nuovo. Lui ha in mano lo strumento attraverso cui può realizzare determinate cose, adesso ha tutti obiettivi sacrosanti che non dico siano ovvi ma obbligatori e credo che lui abbia la capacità, la pazienza, l’attenzione per ottenere ottimi risultati. Mi dà fiducia la sua dedizione perchè Thohir è un altro grande lavoratore”.

Il suo è un addio o un arrivederci? Se le cose non dovessero funzionare come si spera, Moratti tornerà?

“Il mio è un ciao, non un addio. Guai a rimanere un piede di qui e uno di là, bisogna pensare seriamente a che cosa si può fare per fare il bene di questa squadra, di questa Società. Non faccio nessun progetto o programma che sia quello di interferire in qualcosa dal quale ho scelto io di andare”.

Che cosa fece suo padre quando lascio l’Inter?

“A parte che papà era tifoso tanto quanto me. C’è un momento in cui certamente molli dal punto di vista della grossa responsabilità perchè un conto è essere tifosi, un conto è essere responsabili al cento per cento. Però devo dire che alla squadra tieni, i giocatori li conosci, i tifosi li conosci quindi non cambia moltissimo l’andare a vedere una partita. Sei certamente meno coinvolto”.

Sua moglie è contenta della decisione di cedere l’Inter?

“No perchè poi negli anni sposa la dinamica, la bellezza di questa cosa, sotto un profilo che non è soltanto calcistica. Adesso è dispiaciuta”.

A proposito del sociale, lei è sempre convinto che il calcio possa essere lo strumento per una rivoluzione culturale?

“Non come rivoluzione culturale, ma come strumento che arriva ovunque. Chiunque osserva il calcio in qualsiasi parte del mondo, chiunque conosce i personaggi del calcio e attraverso questa popolarità puoi aiutare tantissimo. Mandela credo la vedesse abbastanza cosi, oltretutto strutturalmente. Può essere sinceramente qualcosa che porta con sè un profumo nuovo e cose diverse e anche delle cose fatte bene. Non è detto che sia tutto bene quello che porta il calcio ed è per questo che io mi arrabbio molto: strumentalizzare lo sport per fini personali trovo sia una schifezza proprio perchè la gente lo affronta con una tale apertura di sentimenti”.

 

Fonte: inter.it

 

 

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