Proviamo a dare un senso alle parole di Conte, ma non una giustificazione

Le copertine di stamattina sono dedicate ai fatti di ieri sera e quindi, inevitabilmente, allo sfogo di Conte. Poi ci dicono anche che l’Inter ha battuto per 2-0 – e senza mai soffrire – la squadra più pericolosa del campionato e chiudendo al secondo posto un solo punto dietro la squadra che ha vinto 9 scudetti di fila. Ma che tutte queste vicende di campo siano accadute davvero è, ormai, già un fatto secondario.

Li vediamo i tifosi ieri sera davanti alla tv trasformare i sorrisi di moderata soddisfazione in un misto di occhi spalancati, bocche aperte e stupore diffuso mentre a fare da sottofondo ci sono le parole di un allenatore che contento non è. Ognuno reagisce a modo suo, ognuno è libero di criticare, di non condividere, di accusare, ma se il nostro compito ci impone dei doveri, tra questi ce ne sono sicuramente due: raccontare e analizzare.

A raccontare abbiamo raccontato, dunque analizziamo. Perché se facciamo i giornalisti e non gli avvocati, non è affar nostro prendere le difese di qualcuno, ma dare spiegazioni – o almeno provarci – probabilmente ci compete di più. Ci riallacciamo pertanto al titolo di questo articolo e vi ringraziamo se avete avuto la pazienza di resistere finora e di arrivare a leggerlo per una seconda volta: “Proviamo a dare un senso alle parole di Conte, ma non una giustificazione”.

“Io farò le mie valutazioni a fine anno, le società farà le sue valutazioni. Bisogna trovarsi sulla stessa lunghezza d’onda. Valutazioni su tutto”, diceva Antonio Conte ieri sera, usando una parafrasi di quanto aveva già detto nelle scorse settimane. Fin qui, se non niente di allarmante, quantomeno niente di nuovo. Poi però si scalda, comincia a carburare e si lascia andare in un vortice di parole che sa di “aut aut”: “Quest’anno hanno ammazzato me e hanno ammazzato i calciatori. E mi è piaciuto zero questo. Per vincere bisogna essere forti in campo ma anche fuori. I meriti ce li prendiamo io, i calciatori e lo staff, non la società che non ci ha protetti dagli attacchi”.

Conte con le sue parole cerca di mettere con le spalle al muro una società che deve prendersi delle responsabilità, che deve fare delle scelte, che deve capire quando è il momento di decidere di vincere: per farlo il campo non basta, c’è bisogno della preservazione del clima sereno e non di fughe di notizie nei momenti più delicati. Senza girarci troppo intorno, l’esempio più recente è quello di Brozovic e del trambusto in pronto soccorso. Una notizia che è uscita il giorno prima dell’ultima partita di campionato che per carità, contava poco, ma destabilizza il clima e rischia di rovinare la serenità che il campo ha creato. Antonio lo sa, quando era alla Juve una notizia così non sarebbe mai uscita, o per lo meno qualcuno all’interno della società avrebbe frenato il tutto e rimandato i titoloni a tempi più tranquilli e, soprattutto, lontani da partite.

Poi il riferimento alla conferenza stampa del 2018 di Spalletti che non lascia dubbi: “L’altro giorno mi hanno mandato un’intervista di Spalletti. Spalletti denunciava cose gravissime, siamo nel 2020 e siamo di nuovo punto e a capo”. Il tecnico toscano due anni fa parlava di talpe, di fughe di notizie, di dirigenti che facevano trapelare situazioni delicate che non sarebbero dovute uscire dallo spogliatoio. Della serie “i panni sporchi si lavano in casa”. Ogni tanto a qualcuno evidentemente piace andare in lavanderia.

Il messaggio di Conte risulta dunque chiaro: o si cambia marcia facendo fuori alcune teste (e tutti sanno a chi è il riferimento) oppure va via lui, perché vincere in un clima del genere è praticamente impossibile. E sapete che cosa fa incazzare (sì, passate il termine perché necessario) ancora di più? Che se il clima fosse stato appena un po’ più tranquillo, se ci fosse stata appena un po’ di protezione in più, se la società avesse preso appena un po’ più le difese dei soliti che dopo ogni pareggio finivano sulla graticola, forse – e diciamo forse – qualche punticino in più l’Inter l’avrebbe rosicchiato. Quanti? Difficile dirlo, ma abbastanza per vincerlo questo campionato. Contro i pronostici, contro i fatturati, contro le distanze con i progetti e le rose degli altri che sono finiti davanti per un solo punto. Uno solo.

E che a Conte la sconfitta non piaccia è un dato di fatto, è una delle cose certe e inconfutabili insieme alla morte e all’ignoranza umana: ci sono, non ci si può far niente. Conte ha esagerato? Certo, ha anche circumnavigato il problema, ha voluto girarci un po’ intorno, ha toccato aree apparentemente distanti dal punto centrale, ma l’obiettivo era uno e solo: scatenare un terremoto per far porre alcune domande ai tifosi e per far prendere alcune responsabilità alla società.

Se lo ha fatto, perché può avere dei difetti ma uno di questi non è la mancanza di materia grigia, è perché sa che qualcosa cambierà e qualche testa salterà. Magari sarà la sua e l’Inter si ritroverà in un nuovo calderone di allenatori e giocatori che ogni anno arrivano per poi essere messi alla gogna e ritrovarsi a maggio ad annunciare una rivoluzione per la stagione successiva. Copione già visto, già letto, spettacolo a cui tutti hanno già assistito. Ma in queste rivoluzioni, in queste gogne, ci sono alcune teste che non vengono mai coinvolte e Conte sta puntando esattamente a quelle, le stesse che evidentemente permettono le fughe di notizie passandole direttamente dal produttore al consumatore e, in cambio, ricevono l’immunità mediatica.

Sono supposizioni, sono idee, sono ipotesi che abbiamo messo in piedi cercando di capire prima di sbottare davanti alla tv mentre Conte parlava (no, in realtà un po’ abbiamo sbottato anche noi), ma pur avendo elaborato un’idea dell’accaduto e pur provando a dare un senso alle parole del tecnico, una giustificazione non siamo riusciti a darla. Per l’insaziabile bisogno di quieto vivere che assale chi è abituato a seguire da vicino l’Inter, purtroppo siamo costretti a dire che no, non era il momento di fare certe affermazioni, non era il modo di elaborarle, non era il vigore con cui vomitarle addosso a milioni di tifosi e addetti ai lavori.

Perché è chiaro che la mira non fosse né su Marotta (che c’è da poco e il clima instabile c’era già prima) né su Zhang (che una roba tipo 12 milioni a stagione glieli passa con serenità e qualcosina sul mercato l’ha spesa), ma evitare di fare nomi è una mancata presa di responsabilità, è come andare a pescare gettando una bomba a mano nel fiume: i pesci li uccidi tutti per mangiarne solo uno.

Inoltre sì, il secondo in classifica sarà anche il primo dei perdenti, ma se il campionato è andato non si può dire la stessa cosa della stagione: c’è un’Europa League da giocare e magari da vincere. Dunque lamentarsi della società che non protegge la squadra nei momenti delicati e poi invece creare un terremoto prima della possibile vittoria di un trofeo – l’unico stagionale – non è un attacco dall’esterno, è un vero e proprio autogol, e su quelli nemmeno le migliori difese possono granché.

Luca Forte

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