Editoriale, InterWall – Un bel tacer mai scritto fu

Raramente un derby di Milano ha mai avuto un avvicinamento così avvelenato, rancoroso, pieno di polemiche. Dopo l’affaire rimborsi ancora in corso, gli sfregi sull’InterWall sono stati un ulteriore capitolo denso di vergogna e di noncuranza verso ogni consono valore dello sport.

INTERWALL, LA “RIVENDICAZIONE MILANISTA”

“110 anni di umiliazioni 110 anni da barzelletta d Italia e pensate di avere il diritto di poter occupare spazi di Milano grazie a un sindaco interista o a una pubblicità di premium! La storia non si scrive in comune o nei contratti pubblicitari la storia si scrive sul campo e a Milano la storia in Italia e nel mondo l’ha scritta una sola squadra! L’unica di Milano! Milano è rossonera! Merda siete e merda resterete! E non rompeteci il cazzo….. perché ci vorrebbero due grattaceli!”

Con questo forbito e articolato linguaggio, un noto vate di fede rossonera, tal Luca Lucci, si è espresso due giorni fa sul proprio profilo Instagram. L’immagine di corredo, nemmeno a dirlo, l’InterWall sfregiato da segni di vernice rossa e dalla scritta “Inter merda”. Una rivendicazione del nobile gesto? Forse, non lo sappiamo, ma la condivisione di quanto fatto  è sufficiente a fornirci un’idea della cultura sportiva e del rispetto covate da questo esponente della Curva Sud rossonera.

Sui contenuti del suo messaggio non si dovrebbe nemmeno perder tempo. Le solite scelleratezze da bar, le chiacchiere che si fanno tra compagni di scuola elementare: “merda, barzelletta, abbiamo vinto di più noi, bla bla bla”. Una successione di banalità che i fatti smentiscono senza troppa fatica, anzi. Barzelletta per aver atteso uno scudetto 17 anni? Peccato che, sotto questo punto di vista, il digiuno più lungo sia quello rossonero. 44 anni senza vincere un campionato dal 1907 al 1951. Anni di vacche magre corrispondenti all’esatto numero dei dissidenti che si staccarono per fondare l’F.C. Internazionale nel 1908. Non è forse straordinario il destino?

Ma non è questo il punto. E non lo sono nemmeno le Champions League, le Coppe Italia e le Supercoppe varie in più o in meno, o gli anni di Serie B nel palmares, seppur derivanti da qualche scheletro nell’armadio (vi dice nulla la parola Totonero?). Ognuna delle due squadre ha la sua ultracentenaria storia, condita da gloria, sprofondi, eccessi, lacrime. Ogni tifoso guarda con più orgoglio alla sua, come è naturale che sia e con le dovute e sacrosante ragioni: il Milan di Sacchi e quello di Ancelotti, la Grande Inter e quella del Triplete. I motivi di orgoglio e di vanto sono enormi da entrambe le parti: screditare e infangare quelli altrui è la tattica migliore per innalzare i propri?

Crediamo di no. Rivera sarà stato orgoglioso di aver vinto qualcosa contro Mazzola e Facchetti, gli olandesi sanno di aver lottato contro degli ardenti, validi e valorosi tedeschi. E i ricordi dei derby con Ronaldo, Sheva, Ibra, Milito, Kaka e Adriano sono ancora troppo vividi nella mente di tutti noi per farci disprezzare la parte nemica, per additarla a semplice sparring partner, o addirittura per eclissarla, renderla nulla. “Milano siamo solo noi” va bene nel coro da stadio, quanto la battaglia divampa e l’appartenenza è troppo forte per essere repressa.

Ma fuori dal campo si dovrebbe avere la lucidità mentale che ci consenta di non restare accecati dal tifo becero, che non riconosce nulla al di fuori dei propri colori e delle proprie convinzioni. Si dovrebbe conservare qualche traccia di quell’amore per lo sport che rende più belle le vittorie e più onorevoli le sconfitte anche in virtù del valore degli avversari che, dopotutto, sono nostri cugini. Reciprocamente lustro della stessa città.

InterWall? Sì, era e resta bellissimo, è una punta di orgoglio per tutti i tifosi. MilanWall? Facciamolo. Di sicuro non manca il materiale per riempire un’altra palazzina. Due grattacieli? E va bene, però poi ce li prendiamo pure noi, che ci siamo tenuti stretti. Dopotutto anche la stessa Curva Nord ha ammesso che, a parti invertite, avrebbe avuto tutto il rispetto possibile per l’opera avversaria. Senza addentrarsi in sterili minacce vendicative. La dimostrazione di come sia possibile adoperare le parole della nostra raffinata lingua in maniera intelligente e propositiva. In altri casi, la via del silenzio sarebbe quella di gran lunga preferibile. Purtroppo, spesso, risulta quella più tortuosa e difficile.

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