Inter, niente follie sul mercato: entro cinque anni Thohir deve rientrare dal debito, altrimenti…

Passare dal mecenatismo all’autosufficienza può essere dolorosissimo. E di certo non entusiasmante per i tifosi che hanno ancora negli occhi i fuochi d’artificio del triplete. Ma non ci sono altre strade, ne va del progetto complessivo di Erick Thohir: o l’Inter si risana, cammina con le proprie gambe, si sviluppa e ritorna al top, oppure rischia di consegnarsi alle banche che hanno finanziato il piano quinquennale da 230 milioni.

Ecco perché i margini di manovra sul mercato sono molto stretti. Il budget non prevede acquisti di rilievo che non siano coperti da cessioni: impossibile fare colpi sopra i 20 milioni, per le operazioni da 10-15 si devono trovare formule alternative (tipo prestiti con diritto di riscatto). Prima di pensare agli investimenti sportivi, ci sono scadenze da rispettare, parametri da non sforare, come quelli del financial fair play. A ottobre incombono i controlli dell’Uefa e il pregresso pesa parecchio: tra il 2011 e il 2013 l’Inter ha accumulato 173 milioni di perdite. È vero che il bilancio al 30 giugno 2014 chiuderà con un rosso molto più contenuto, ma solo per via della plusvalenza «figurativa» derivante dal trasferimento di Inter Brand nella Inter Media and Communication, la nuova società che custodisce gli asset commerciali, a garanzia del maxi-prestito.

Negli ultimi tempi la gestione ordinaria è migliorata, con il taglio al monte-ingaggi (altri 10 milioni risparmiati nel 2013-14, in aggiunta a quelli più consistenti degli esercizi precedenti) e i primi frutti sul fronte commerciale, che saranno evidenti a partire dalla prossima stagione. L’ebitda (cioè il risultato prima di interessi, tasse, svalutazioni e ammortamenti) è per la prima volta positivo, ma vanno messi nel conto gli interessi sul mega-finanziamento e gli ammortamenti relativi al conferimento del ramo d’azienda. Entrambe le voci cresceranno nelle stagioni successive.

Senza i proventi della Champions, l’Inter è costretta ad attuare un’austerity da lacrime e sangue. Ma attuando un’austerity da lacrime e sangue diventa proibitivo tornare in Champions e mettere in moto la macchina dei ricavi. È un cul-de-sac. Non a caso il finanziamento coordinato da Goldman Sachs poggia su un business plan che, in misura prudenziale, prevede la partecipazione minima all’Europa League. È questa la grande scommessa di ET, il quale resta convinto che l’Inter ce la farà con le sue gambe e che lui non dovrà mettere più mano al portafogli. Tra i 230 milioni delle banche, i quasi 100 dell’aumento di capitale avviato lo scorso novembre (compresi i 17 di Moratti) e i 20 prestati dagli indonesiani, adesso non ci sono problemi di liquidità. A patto di non fare voli pindarici sul lato dei costi.

La priorità è rientrare dal debito in 5 anni senza chiedere aiuto agli azionisti. Il fallimento del piano indonesiano consegnerebbe il club, o meglio la controllata Inter Media and Communication, tra le braccia delle banche. È datato 19 giugno l’«atto confermativo di pegno su quota di Inter Media and Communication» stipulato tra Fc Internazionale e Inter Brand da una parte e UniCredit Bank Ag e altri istituti dall’altra. Garantisce i creditori in caso di inadempienze. Se quei 230 milioni non vengono ripagati nei termini stabiliti e i soci non intervengono, l’Inter passa alle banche. Altro che sogni di mercato di mezza estate.

 

Fonte: La Gazzetta dello Sport

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