Zanetti: “Kovacic può ripetere il mio percorso, Simeone ha il dna nerazzurro. Ora la mia missione…”

Appesi gli scarpini al chiodo, Javier Zanetti si è raccontato in un’intervista esclusiva concessa ai microfoni di Tuttosport. Ecco le sue parole:

E’ stata dura dire basta?

“Sì, soprattutto dopo essere ritornato in campo contro il Livorno il 9 novembre. Quel giorno, sentendo il boato della gente, ho capito che era la mia ultima stagione. Quando mi ero fatto male, mi ero ripromesso di tornare a giocare almeno una partita e ci sono riuscito. Però da quel momento è iniziato il difficile perché stavo bene e sentivo di poter continuare”.

Ha calcolato quanti chilometri ha corso in carriera?

“Più o meno la distanza tra Argentina e Italia”.

Dopo tanti anni in Italia, si sente un po’ italiano?

“Anche più di un po’. Ho vissuto qua più di metà della mia vita e resterò ancora qui con la mia famiglia. Sarò sempre grato all’Italia, all’Inter e alla famiglia Moratti che mi ha aperto le porte, dandomi fiducia, quando non ero nessuno. Per me è un motivo d’orgoglio aver difeso i colori nerazzurri per quasi 20 anni e considerando che sono straniero, assume un valore doppio”.

Ci svela il messaggio più curioso che ha ricevuto il giorno dell’addio?

“Difficile sceglierne uno, mi hanno scritto in tanti, da Maldini a Baggio, da Del Piero a Totti, passando per Beckham. Mi ha fatto molto piacere anche il rispetto che mi hanno mostrato i tifosi, anche quelli avversari. E’ stato gratificante”.

E’ stato difficile rimanere in un club per 19 anni?

“Ho avuto delle occasioni per andarmene, non lo nego. Ma anche nei momenti più difficili, ho sempre voluto tenere duro perchè non volevo abbandonare l’Inter senza lasciare un segno”.

E’ stata decisiva anche sua moglie Paula?

“Quando arrivò il Real mi disse: lì sarai uno dei tanti galacticos, qua in tanti si identificano in te e poi puoi fare la storia del club. Ha avuto ragione”.

Cosa farà da grande?

“Sto parlando con il presidente Thohir e i suoi collaboratori, ci sono delle idee stiamo gettando le basi. Dopo la carriera che ho avuto, penso che la prima cosa da fare sia trasmettere ai nuovi cosa significa l’Inter. Sono preparato per dare una mano in questo senso, poi strada facendo imparerò a lavorare in altri settori. Senza Facchetti e con Moratti un pò defilato, credo che la missione sia, attraverso la mia immagine, quella di rappresentare l’interista vero, far senitre il dna nerazzurro”.

Tre momenti da portare nel cuore?

“Il gol a Parigi in finale di Coppa Uefa, la rete di Milito a Siena per lo scudetto del 2010 con lui che corre da una parte e io dall’altra.; la mia faccia quando alzo la Champions”.

I tre compagni più forti con cui ha giocato?

“Ronaldo, Baggio e Ibra”.

Il compagno che si è perso?

“Adriano. Quando gli è arrivata la notizia della morte del padre eravamo a Bari e lui era seduto dietro di me. Da quel giorno si è perso: quando veniva sua madre in Italia stava bene, ma quando era solo, cambiava tutto”.

L’avversario più tosto?

“Kakà, Giggs e Nedved. Quante corse con Pavel…”.

Il post Triplete secondo lei è stato gestito male?

“Lo sento dire spesso, ma secondo me quella stagione rappresenta l’apice del nostro ciclo iniziato nel 2005. Era difficile partire da lì, piuttosto era un traguardo”.

Il suo erede?

“Per la duttilità e la nazionalità direi Zabaleta del City”.

E nell’Inter? I tifosi sembrano aver scelto Kovacic.

“La gente si è affezionata a Mateo, giustamente perchè al di là delle prestazioni, è giovane bravo e serio. Può ripetere il mio percorso all’Inter, mi auguro che possa rimanere a lungo con noi”.

Le piacerebbe che l’Inter congelasse la sua maglia numero 4 come ha fatto il Milan con la 3 di Maldini, per assegnarla magari un giorno a suo figlio?

“Sarebbe bello se la società ritirasse il mo numero e belissimo se un giorno la indosssasse mio figlio Tomas. Il più piccolo, quello più appassionato di pallone”.

Zanetti, dopo tanti anni può dirlo: cosa non le piace del nostro calcio?

“Il fatto che si parli più di polemiche che del calcio giocato. Bisogna tornare alle radici di questo sport e imparare cosa significhi il rispetto”.

Come uscire dalla crisi?

“Puntando sui giovani”.

Già, ma le grandi, possono permetterselo?

“Sì, a patto che si impari a progettare. L’ideale è costruire squadre che siano un mix tra giocatori con esperienza e giovani da fare crescere”.

Il modello Atletico è replicabile?

“È un esempio di squadra basata sul gruppo, di come si possano raggiungere i risultati anche senza aver un potere economico così grande”.

Meriti di Simeone?

“Il Cholo è un amico, non mi sorprende che sia diventato un grande allenatore perché già in campo era un leader nato. Respirava calcio e si arrabbiava con tutti se non si facevamo le cose che lui pensava fossero giuste. Nonostante sia rimasto solo due anni, Simeone ha lasciato un segno all’Inter. Aveva e ha un dna nerazzurro”.

Un altro suo amico, Cambiasso, sembra destinato a un futuro da allenatore…

“È talmente intelligente che è portato per quel ruolo. Gli piace stare in campo, vede il gioco prima degli altri. Farà una grande carriera”.

Io in panchina?

“No, mai… anche mia moglie me lo sconsiglia. In famiglia c’è già mio fratello Sergio, lascio fare a lui…”.

Restando in panchina: la Juventus di Conte ha vinto il campionato con 102 punti.

“Hanno fatto una cosa fantastica, avendo una continuità clamorosa. Come Simeone, anche Antonio era un allenatore in campo e ha saputo trasmettere la sua personalità e la propria grinta alla squadra”.

Come Mourinho?

“José è unico, però anche Conte ha il suo carattere. Se la Juve ha vinto tre scudetti di fila è merito suo”.

Lo Special One tornerà?

“Magari in futuro… in fondo ha un rapporto ancora forte con l’ambiente, i tifosi e la famiglia Moratti”.

L’allenatore ideale, eccetto Mourinho?

“Simoni e Cuper”.

Quando rivedremo un’altra Grande Inter?

“Ci vorrà del tempo. C’è stato un cambio di proprietà, molti giocatori sono nuovi. Le idee ci sono, ma siamo all’inizio di una nuova storia e bisogna costruire un gruppo dirigenziale competente per tornare protagonisti”.

Thohir è l’uomo giusto?

“Sta conoscendo il calcio italiano, non è facile arrivare da così lontano ed essere subito pronto. Ci sono delle dinamiche da comprendere e lui stesso le sta vivendo sulla propria pelle. Ma il suo obiettivo è far rimanere l’Inter al top e io sono a sua disposizione”.

Che effetto fa vedere l’Inter senza Moratti?

“Ma il presidente c’è ancora; l’Inter è stata, è e sarà sempre la famiglia Moratti. Io ho saputo della cessione la scorsa estate, Moratti mi disse che sarebbe rimasto, ma che era fondamentale per l’Inter ampliarsi e aprirsi al mondo”.

Mazzarri è il tecnico giusto per la rifondazione?

“Il mister ha le sue idee, si è reso conto durante la sua prima stagione di quali siano le difficoltà nell’allenare l’Inter, ma adesso inizierà un nuovo anno con giocatori che conosce e altri che ne arriveranno. Farà bene”.

A Icardi ha detto di smettere con tutti questi tweet?

“È più forte di lui (ride, ndr). Comunque Mauro ha capito che, una volta attraversato il cancello della Pinetina, si pensa solo al gruppo e all’Inter. Ci ho parlato spesso, a me piace il dialogo e non le scenate, perché i giovani possono sbagliare e non vanno bruciati al primo errore. Icardi darà una grossa mano all’Inter”.

 

 

 

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