Hernanes suona la carica: “A Roma per vincere! L’Inter è un top club e voglio lasciare il segno”

A poche ore dalla sfida dell’Olimpico, Hernanes ha rilasciato una lunga ed interessante intervista a La Gazzetta dello Sport. Ecco quanto affermato:

Hernanes, ora che è finalmente qui può dirlo: ce l’ha avuta un po’ con l’Inter, per averla sedotta e abbandonata nel 2010?
«Ai tempi in cui firmai l’accettazione di una proposta avevo 4-5 procuratori, dunque non ho mai avuto la certezza di quanto quell’ipotesi fosse concreta. E dunque non ho mai pensato che l’Inter mi avesse solo illuso».

Lo avrebbe pensato se fosse successo stavolta, visto che lei ha detto che questa è la volta giusta. Perché?
«Perché penso che al mondo ci siano 9-10 top club e l’Inter sia uno di questi: mi ha sempre dato la sensazione di essere una grande squadra e esserci arrivato significa poter contribuire a farla tornare grande».

E infatti, al di là delle due vittorie su due arrivate con lei in campo, si parla già di Inter Hernanes-dipendente.
«E dopo due partite mi sembra un po’ troppo, no? A me non piace sentirmi determinante, ma importante per quello che posso dare in campo e anche fuori dal campo: non conta solo quello che fai con un pallone fra i piedi. Posso essere importante perché sono arrivato qui nel pieno della maturità, forse nel miglior momento della mia carriera e con una voglia incredibile di fare cose che lascino un segno».

E’ una delle cose che Mazzarri dice di lei: che incide sulla squadra e sulle partite. C’è una cosa che l’ha colpita di Mazzarri?
«Non dà mai nulla per scontato. E quando andiamo a giocare, sappiamo tutto dell’avversaria e di quello che ognuno di noi deve fare».

Quello che Hernanes deve fare, lo fa meglio da uomo davanti alla difesa, da trequartista o da mezzala come sta giocando nell’Inter?
«Mi piace giocare mezzala perché amo anche rientrare, provare a rubare palla, aiutare la squadra, essere sempre in movimento e anche attaccare arrivando da dietro, per trovare più libertà di tiro. Da trequartista capita dover aspettare la palla che arriva, da regista basso sei troppo lontano dalla porta».

Almeno in una cosa ricorda un grande brasiliano interista del passato, Ronaldo: non è chiaro se tira meglio di destro o di sinistro. C’è una risposta?
«Ma sì, dai: diciamo destro».

Si porta dietro un fastidio all’adduttore dal giorno di Inter-Sassuolo, ma fosse stato per lei, forse avrebbe giocato sempre.
«In realtà è un problemino che risale alle ultime partite con la Lazio. E’ vero che ho la soglia del dolore alta, ma fermarmi e non giocare Inter-Cagliari è stata una scelta di prudenza giusta. Ora invece sto meglio, negli ultimi due giorni ho fatto tutto con la squadra, compresi tiri e partitella. E comunque, anche quando mi sono allenato a parte, ho sempre continuato a correre: così non ho perso la condizione».

E se due giorni di lavoro completi fossero pochi e contro la Roma dovesse entrare solo a partita in corso?
«Per dare un contributo non bisogna per forza giocare dall’inizio: possono bastare anche meno di 90’».

Questa Roma ha stupito anche lei?
«Di sicuro non mi aspettavo che partisse con dieci vittorie di fila, soprattutto dopo la botta della finale di Coppa Italia persa contro la Lazio. Poi si è capito che non è stata una “risposta” a quella delusione, ma il frutto di tanta qualità: è per quello che stanno durando anche dopo la partenza sparata».

Come si affronta la Roma, per cercare di limitarla?
«Giocando come loro. Ritmo, pressing alto in fase di non possesso e grande attenzione a non sbagliare “in uscita”: ogni errore può essere un loro contropiede e in contropiede la Roma fa male».

Ma per lei è ancora un po’ come un derby?
«La Roma non può non essere ancora un’avversaria speciale, dopo esserlo stata con tanta intensità per tre anni e mezzo. Ma io con i romanisti sono sempre stato in pace, e loro con me: mi chiedevano di fare una foto e poi mi dicevano “Ahò, guarda che sò romanista”».

Parola di Falcao, un idolo giallorosso: «Hernanes è il mio erede calcistico». Ora che non è più laziale, se lo gode di più un complimento del genere?
«Ho sempre apprezzato molto la sua considerazione, perché i grandi giocatori, come lui, riescono a guadagnarsi il rispetto di tutti al di la della maglia che portano».

Alla Roma ha segnato quattro gol, di cui tre su rigore (più uno sbagliato): vuol dire che se all’Inter danno un rigore, lo tira lei?
«Il gol più importante segnato alla Roma è quello non su rigore, forse il più bello della mia carriera: cambio gioco di Lulic, stoppo con il destro, fingo di tirare, me la porto sul sinistro e palla all’incrocio. Però se domani sono in campo e ci danno un rigore, sono pronto a prendere la palla e a tirarlo, se toccherà a me».

Lei che ama la matematica: è matematicamente strano che in 25 partite l’Inter non abbia ancora avuto un rigore?
«Sì, anche perché ho visto diverse partite dell’Inter e non mi pare che non arrivasse mai dentro l’area avversaria».

Un giorno disse che ogni uomo quando nasce ha due doni: la vita e la possibilità di imparare. E che poi, imparando, si ha il dono di poter credere in qualcosa. Oggi è più importante che l’Inter si faccia un regalo credendo nel ritorno in Europa o in un buon risultato a Roma?
«Tornare in Europa conta di più, ma è un traguardo che va costruito. E il mattone di una buona partita all’Olimpico può essere importante».

L’hanno chiamata molti laziali, per chiederle di far male alla Roma?
«Non ho più la scheda con il numero conosciuto, quello dove mi avevano scritto 25.000 messaggi su WhatsApp e più di 2.000 sms quando lasciai la Lazio…».

Che effetto può fare giocare in un Olimpico semideserto?
«Una delle cose più emozionanti del calcio è vedere e sentire uno stadio pieno. Ci rimette di più la Roma, ovvio, ma io amo giocare anche con tanti tifosi contro».

Raccontano che sia un grande appassionato di cucina e che Giocondo, il cuoco della Lazio, per lei sia stato un buon maestro: alla Pinetina ha già imparato qualcosa di nuovo?
«Credevo che quella croccante di Giocondo fosse la miglior crostata possibile: beh, qui ne ho trovata una, più morbida, che è ancora più buona. La ricetta è di Giulio, ma poi la fa Monica: le ho già chiesto questo e anche altri segreti».

Nel 2010 il Mondiale per lei sfumò in extremis: due di fila sarebbero troppi?
«Decisamente, ma credo che un posto per me nella Seleçao alla fine ci sarà. Non ho scelto l’Inter per questo, ma l’Inter potrà aiutarmi: non mi sono messo in gioco a caso, cercando qualcosa di diverso rispetto a quello che avevo già».

Si sente Profeta solo perché legge la Bibbia e ne cita spesso dei brani?
«La caratteristica dei Profeti è avere una disciplina spirituale e compiere azioni spirituali in contrasto con il pensiero comune. Il loro compito è far scoprire agli uomini la loro spiritualità, che è qualcosa di meno dogmatico della religiosità. Ecco, mi sento Profeta in questo: amo cercare di far scoprire a quelli che ho vicino che hanno un lato migliore, e magari non lo conoscono».

E’ vero che aveva scritto sul suo armadietto questa frase: «Un uomo che parla ma non fa è come una nuvola che non porta pioggia»?
«No, non lo avevo scritto. Ma è una frase della Bibbia che conosco e ho citato».

E che pioggia vorrebbe portare all’Inter?
«Quella che chi lavora la terra aspetta per il raccolto. Spero che, anche grazie a me, l’Inter ricominci a raccogliere: vittorie».

Fonte: Gazzetta dello Sport

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