Top&Flop dell’era Moratti: I TREQUARTISTI

Fantasia al potere. Con il loro genio, capaci di ideare le soluzioni più improbabili al fine di risollevare le sorti di un match e, con i piedi, abili a trasformare in realtà le proprie idee calcistiche e a disegnare traiettorie nemmeno lontanamente pensabili per chi resta a guardare esterrefatto.

Pittori d’animo, pennellano l’ultimo passaggio con mille sfumature diverse e fanno delle loro prodezze un quadro d’autore; di fisico agili e sguscianti, inebriano con le loro finte chi prova ad opporvisi e guizzano via tra le maglie avversarie come uno sciatore nello slalom gigante: sono i trequartisti.

In questa categoria, come nelle altre, i top e i flop succedutisi durante i diciotto anni di presidenza Moratti, costituiscono due facce della stessa medaglia.

Dentatura sgangherata, sinistro inimitabile. Il nome dell’ormai ex numero uno di Corso Vittorio Emanuele è legato in modo indissolubile ed inestricabile all’acquisto di Alvaro Recoba. Una storia che inizia e si conclude con uno struggente forse, il racconto di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, uno di quei tipici casi che, in ambiente scolastico, sarebbe stato etichettato con una frase del tipo “E’ intelligente, ma non si applica”. Il ricordo del gol da centrocampo contro l’Empoli, la veronica seguita da un sinistro chirurgico in quel di Bergamo o il modo di destreggiarsi tra i difensori capitolini in un Roma-Inter del 2004, rimarrà il modo migliore per mitigare l’amarezza causata da un talento dissipato.

Youri Djorkaeff  rientrerebbe in questa classifica anche se avesse segnato una sola rete in maglia nerazzurra, quella celebre contro la Roma. Una rovesciata degna di quella rappresentata sulle copertine degli album Panini e meritevole di essere raffigurata sugli abbonamenti dell’anno seguente (1998 ndr). “La gravità è la tendenza dei corpi materiali a cadere verticalmente al suolo, dovuta all’attrazione che la Terra esercita su di essi”: con quel gesto tecnico, il francese dimostrò esattamente il contrario.

La classe è una qualità innata, il segno distintivo di un campione: l’allenamento tempra il talento, non lo crea dal nulla. Lo sa bene Luis Figo, approdato in nerazzurro dopo anni di gloria e successi con la camiseta blanca  del Real Madrid e capace di ergersi a protagonista dei primi sussulti interisti, nonostante l’età ormai non più verde. Difficile credere che qualche tifoso si sia trattenuto e non sia balzato in piedi, quando con una punizione magistrale il portoghese regalò la Supercoppa Italiana 2006 al club meneghino al termine di una palpitante rimonta. Prova vivente che il trascorrere del tempo logora il fisico, ma non l’estro del campione.

“Odi et amo”, il più celebre carme di Catullo e il modo più appropriato per descrivere il rapporto che ha legato la Beneamata e Wesley Sneijder, cui spetta di diritto il secondo posto della nostra classifica. Il suo insperato arrivo durante gli ultimi giorni di mercato, il Triplete, gli infortuni e, poi, un amaro addio, finale in linea con le strazianti storie d’amore decantate dal suddetto poeta latino. Non si può, però, far finta di niente, voltare le spalle ad un passato ricco di soddisfazioni e continuare il proprio cammino senza essere colti, seppur di rado, da un profondo senso di nostalgia verso chi verrebbe costantemente rappresentato, in ambito fumettistico, con la proverbiale lampadina accesa. Del resto, come nella poetica catulliana, l’amore dà e l’amore toglie tra mille tormenti.

Se il numero 10 avesse un volto, sarebbe sicuramente il suo. Il biennio interista non coincide di certo con la vetta più alta raggiunta in carriera, ma Baggio è sempre Baggio. Poco fortunato nel tempismo, essendo in quegli anni la mancanza di trofei e la rapida successione di allenatori caratteristiche peculiari della squadra nerazzurra: in tal proposito, chiedere a Lippi maggiori delucidazioni circa il suo scarso utilizzo. Se il calcio fosse poesia, lui sarebbe l’ispiratore di ogni singola parola; se fosse musica, le movenze del Divin Codino sarebbero le note di uno spartito ineguagliabile.

Domenico Morfeo  guida la schiera dei flop, non così affollata come in altri ruoli. Discontinuo e affetto da un’accentuata forma di narcisismo derivante da un forte attaccamento al pallone: il lontano parente del giocatore visto, poi, a Parma. I nomi di Zarate e Karagounis, invece, completano la lista. In cerca di un’investitura definitiva, l’argentino troverà a Milano la strada per la sua definitiva sconsacrazione; il greco, seppur volenteroso, metterà in evidenza la scarsa attitudine ad incidere sul corso degli eventi.

Questi, in definitiva, sono i migliori e i peggiori trequartisti dell’era Moratti: a loro il compito di inventare, a noi quello più ingrato di giudicare…

 

 

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