Inter-Sampdoria 1-1, la lavagna tattica

Nel giorno dell’abbraccio ufficiale di San Siro a Thohir e della passerella concessa a tante vecchie glorie legate a gioiosi ricordi della storia nerazzurra, Moratti consegna al suo successore indonesiano il testimone di una squadra che riesce a far soffire, ad inquietare, a lasciare l’amaro in bocca e che, molto probabilmente, proprio per questo mantiene un fascino illibato. L’Inter, forse confusa dall’atmosfera festante, si fa raggiungere dalla Sampdoria dell’amico/nemico Mihajlovic regalando lo stesso melenso refrain già recitato con Juve, Cagliari, Atalanta, Torino e Bologna.

Il tecnico serbo, che alla vigilia aveva ostentato sicurezza e spregiudicatezza, aveva anticipato il desiderio di voler far piangere (sportivamente parlando) il suo collega. Di certo Mazzarri non avrà pianto ma non avrà neanche riso per la prestazione della sua squadra. Il tecnico di San Vincenzo ripropone il solito 3-5-1-1 con Zanetti esterno sinistro in sostituzione dell’infortunato Nagatomo e la conferma del portoghese Rolando come perno della difesa a 3. Addirittura più spregiudicato l’assetto doriano con un 4-2-3-1 pieno di calciatori dalle chiare peculiarità offensive soprattutto nella batteria dei tre uomini (Gabbiadini, Soriano, Eder) alle spalle di Pozzi.

L’ANALISI TATTICA

COSA HA FUNZIONATO – Davvero poche le note positive in una gara che, per stessa ammissione del tecnico interista, ha fatto registrare la peggior performance stagionale. Al di là della piacevole notizia del rientro dal primo minuto di capitan Zanetti, a meritare una nota di credito sono stati soprattutto il pacchetto arretrato che, ancora una volta, ha dato impressione di compattezza e solidita; Cambiasso che, in un centrocampo con il motore in lampante avaria ha cantato e portato la croce, facendo bene entrambe le fasi; Alvarez unica scintilla in grado di accendere una parvenza di fuochi d’artificio in zona offensiva.

COSA NON HA FUNZIONATO – Atteggiamento psicologico a parte, l’Inter sembra pagare un deficit di qualità ed esperienza, amplificato da un comportamento sparagnino, conservativo e provinciale. Per la prima volta in stagione gli uomini di Mazzarri hanno concesso il possesso palla alla squadra avversaria che, seppur scarsamente pericolosa, ha fatto la partita, prendendo in mezzo sistematicamente i nerazzurri. Con il passare del tempo la difesa interista si è vista costretta ad arretrare, il centrocampo ad abbassarsi e a schiacciarsi sulla difesa, con il risultato di una squadra lunga che non è riuscita ad alzare il ritmo della pressione e di un pressing che, man mano, è diventato sempre più disorganizzato, disomogeneo e scriteriato. L’Inter, fin dalle prime battute, ha iniziato a giocare sotto ritmo, a correre male, a sviluppare male le due fasi, portando pochi uomini in zona palla, rallentando i tempi della riconquista e della gestione di un pallone che è diventato sempre più di proprietà dei liguri. Gli esterni, seppur puliti nel presidiare la zona di competenza, non sono riusciti mai a sfondare e ad arrivare sul fondo, gli interni si sono sfiancati nel dover assicurare raddoppi sulle fasce, corsa ed inserimenti offensivi, Palacio e Guarin sono diventati due atolli nell’oceano dell’incongruenza. Per scelta, o per necessità, i nerazzurri hanno provato, allora, a buttar palla in avanti, nel tentativo di alzare il baricentro e di andare a pressare la Samp nella propria trequarti difensiva, ma, anche in quel caso, la squadra di Mazzarri ha denotato difficoltà nell’accorciare in avanti con i reparti. Il gol doriano è stata la logica e fisiologica conseguenza dell’atteggiamento tecnico-tattico-comportamentale di una squadra che aspetta troppo ed aggredisce poco.

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