Un’Inter senza nè capo nè cuore

Tre partite ufficiali e tre sconfitte. E se possibile i risultati sono la cosa che preoccupa meno. L’esiguo bottino portato a casa è solo l’inevitabile conseguenza della totale mancanza di gioco e grinta. E così fioccano gli strambi paragoni con l’Inter di Benitez, una squadra falcidiata dagli infortuni e dilaniata dai dissidi interni, ma che aveva una precisa identità tattica. E’ quella che manca all’Inter di Gasperini: undici giocatori schierati immobili nei propri ruoli. Quando va bene.

Di 270 minuti giocati si possono salvare solo i primi venti di Pechino, in cui le iniziative dei vari Eto’o, Sneijder e Alvarez avevano illuso i tifosi nerazzurri, convinti che quello fosse solo il prologo del bel gioco che avrebbe riportato l’Inter nel posto che gli era spettato per un quinquennio. Da allora il camerunese è volato in Russia, l’olandese fatica a trovare collocazione tattica e l’argentino è andato in calando, prima perdendo palloni sanguinosi in quel di Palermo e poi beccandosi i fischi di San Siro per la sua fumosità. Ma soprattutto da allora gli schemi, che si presupponevano in fase di rodaggio, non si sono neanche intravisti.

La squadra è lunga e l’azione parte troppo vicino alla porta di Julio Cesar per essere pericolosa.

La squadra è larga ma non sfrutta le fasce e non attacca gli spazi, lasciandone invece a bizzeffe per gli avversari. In tre partite è arrivato un solo cross dal fondo, conseguenza della solita travolgente galoppata di Zanetti, più che di provate trame offensive. L’organizzazione difensiva è nulla, al punto da far subire gol a un Julio Cesar in serata da s.v.

Jonathan, uno dei pochi brillanti in fase di spinta a Palermo, è rimasto tutta la partita bloccato in copertura per favorire le discutibili discese di Nagatomo. Un po’ come invitare Placido Domingo e Alan Sorrenti e far intonare al primo Paradiso Beach e al secondo il Nessun dorma.

Il gol viene dall’ennesima disattenzione di Lucio, leader della difesa che ha ingabbiato gente come Drogba, Ibrahimovic e Messi: segnale, se ne servisse uno di più, che il tecnico di Grugliasco non è entrato sotto pelle ai campioni nerazzurri. Ieri l’unico a metterci cuore dopo il vantaggio turco è stato Coutinho, un ragazzino che, per quanto talentuoso, dovrebbe essere trascinato più che trascinatore.

Negli occhi dei nerazzurri manca il fuoco sacro che ardeva al tempo dei recenti successi. Quello non si allena, non si sviluppa, non si trova per strada. Quello si conquista dal primo allenamento. Gasperson non ci è riuscito. Ormai nessuno crede che ci riuscirà.

Giovanni Cassese

Gestione cookie