SpazioInter’s Stories – Hernán Crespo, el fútbol come angelo custode

Mancavano cinque giorni ai festeggiamenti per la Navidad del 1993: niente neve, in Argentina fa caldo quando arriva Babbo Natale, rigorosamente dopo aver cenato con il tradizionale asado di famiglia. Per 17 famiglie, però, le feste natalizie diventeranno una maledizione dopo quell’anno, dopo l’incendio a quel maledettissimo locale.

17 giovani strappati alla vita, andati via in un batter d’occhio: è la strage dell’Olivos Kheyvis, un locale di Buenos Aires dove ci sarebbe dovuta essere la festa per i diplomati del “La Salle College”, dove aveva studiato anche una conoscenza del calcio italiano, quell’Hernán che il giorno dopo avrebbe dovuto giocare con il suo River, perciò non ci sarebbe potuto essere, all’Olivos. Il pallone gli ha salvato la vita: ora avrebbe dedicato il resto dei suoi giorni al fútbol.

Dicevamo, era convocato con le giovanili dei Millonarios, che l’avevano scovato a 16 anni sui campi malmessi di Florida, città dov’era nato, nei sobborghi a nord della capitale; con i biancorossi dimostra subito di che pasta è fatto, attirando l’interesse di diversi club dall’altra parte dell’Oceano: vince due Apertura nel ’93 e nel ’94 e nella sua ultima stagione in patria si consacra come leader tecnico e carismatico del suo River.

Ah, certo: a 21 anni sigla la doppietta che consegna al River la Libertadores, in un Monumental infuocato da 73.567 anime, che spingono La Banda alla sua seconda coppa continentale, dieci anni dopo quella alzata da Juan Gilberto Funes. Crespo, però, è fin troppo per il River: l’Europa lo aspetta, deve prendersi in mano la rivelazione di fine anni novanta.

QUEL BACIO AL GIALLOBLU

Nella mia vita ho baciato solo due maglie: quella dell’Argentina e quella del Parma.

Non ci credete? Potete verificare con i vostri occhi: l’amore di Hernán per la città che l’ha accolto per prima in Italia è incommensurabile. È un ragazzo semplice, che cerca di ricambiare fino all’ultimo minuto di ogni partita gli 8 miliardi di lire sborsati dai Ducali per farlo imbarcare su un charter Argentina-Italia. Il suo primo gol entro i confini del Belpaese arriva per un gioco del destino: volè da incorniciare a San Siro, tutti iniziano ad imparare quanto possa essere esplosivo ed al contempo concreto questo ragazzino venuto da lontano.

Rimane in Emilia per quattro stagioni, con la terza che viene incisa negli annali del club parmense: la squadra allenata da Alberto Malesani conquista la Coppa Italia, la Coppa UEFA e la Supercoppa Italiana dell’estate successiva, rispettivamente contro Fiorentina, Marsiglia e Milan. Ah, dettaglio irrilevante: Crespo si iscrive al tabellino dei marcatori in tutte queste finali, oltre a contribuire con una doppietta al sonoro 6-0 dei quarti di Coppa UEFA contro il Bordeaux; in Nuova Aquitania ancora si leccano le ferite…

IL TEVERE T’ABBANDONA, HERNÁN

Il Parma, però, è solo la prima delle tante italiane in cui segnare e far godere i tifosi; detto fatto, dopo quattro stagioni in Emilia, Hernán cambia residenza: ci si sposta all’ombra del Colosseo, dove ci mette pochissimo a farsi amare dal popolo biancoceleste. Pronti, via: 4-3 all’Inter e Supercoppa Italiana in tasca, ma poco dopo Crespo fa crack e la Lazio deve fare a meno dell’acquisto più costoso della storia del calcio italiano fino al passaggio di Higuain alla Juventus.

I campioni d’Italia scivolano fino al quarto posto con Sven-Göran Eriksson in panca, che viene cacciato una settimana dopo l’inizio del 2001, reduce da un 1-2 casalingo contro il Napoli: arriva Zoff, che punta alla coppia dei sogni Salas-Crespo. Il risultato? La Lazio ne perde solo 3 (classificandosi al terzo posto, a meno sei dalla capolista Roma) e Crespo diventa capocannoniere, concludendo l’anno a 26 reti (22 da gennaio, comprese 7 doppiette ed una tripletta): illegale.

Funziona tutto bene, finchè non arriva il 31 agosto 2002. La prima giornata di campionato viene rinviata, e tutte le problematiche finanziarie legate al mondo Lazio emergono grazie a due trasferimenti chiave:

La mattina Nesta mi disse che l’avevano venduto al Milan e il pomeriggio il mio procuratore mi chiamò improvvisamente dicendomi che mi avevano venduto all’Inter. Il giorno dopo era in programma un’amichevole proprio tra Milan e Inter: noi, spaesati, andammo a San Siro insieme e poi ognuno si diresse sotto la propria curva.

Inizia così la prima avventura di Crespo sotto la Madonnina, all’insegna dell’incertezza: tutto quello che seguirà, però, sarà figlio della consapevolezza di essersi lasciato scappare un fenomeno. O forse no?

TRA LE SPONDE DEL NAVIGLIO SPUNTA IL TAMIGI

La potremo definire così, l’avventura di Crespo dopo l’addio alla Lazio: è un navigatore di fiumi, all’inizio ed alla fine a Milano, in mezzo a Londra. Eh sì, perché dopo una prima stagione ad alti livelli ad Appiano Gentile (9 gol in Champions League), Hernán attraversa la Manica ed indossa la 21 del Chelsea. Altro giro, altra corsa: il ritorno in Italia dell’anno successivo ha un sentore di familiare, ma non del tutto.

Crespo torna a Milano, ma nell’altro spogliatoio di San Siro, quello tinto di rossonero. Al Milan Hernán raggiunge ancora la doppia cifra stagionale, ma vive assieme al Diavolo un incubo inimmaginabile, la finale di Istanbul contro il Liverpool.

A fine primo tempo nello spogliatoio mi tremavano le gambe: avevo fatto una doppietta in finale e vincevamo 3 a 0. Non ci potevo credere e cominciai a pregare che non succedesse nulla nei restanti 45 minuti di gioco. Altro che festeggiamenti e champagne: fin da piccolo ti insegnano che le partite finiscono al 90′, chiunque faccia il calciatore lo sa. In quello spogliatoio c’erano giocatori del calibro di Maldini, Costacurta, Gattuso, Nesta, Pirlo, Seedorf e altri ancora: pensare una cosa del genere è assurdo. Direi che chi ha detto che abbiamo festeggiato sia un infame è poco.

Il trauma è fin troppo, tant’è che l’argentino opta per il ritorno a Londra, sempre sulla sponda Blues del Tamigi: finalmente conquista uno scudetto, 12 anni dopo la sua ultima vittoria in campionato, datata 1994 con la maglia del River. Forse aveva bisogno di sbloccare un ingranaggio, di combattere una strana maledizione: da quella Premier inizia la cavalcata dei trionfi di Crespo, che passa ancora per il nerazzurro.

UNA GODURIA FATTA SCUDETTO

Qui all’Inter è stato tutto stupendo sin dal primo giorno. Il primo scudetto sul campo dell’era Moratti con la Juventus in serie B è stato magnifico. Per chi ha sofferto tanto nell’Inter, per chi come me è arrivato dietro la Juventus anche con altre maglie, è difficile dimenticare la gioia di quel giorno.

Crespo racchiude l’interismo con le sue esultanze sotto la Nord, con la sua passione innata per questo gioco, per quella palla che rotola verso la rete. Certo, ha vestito diverse maglie in giro per l’Italia, ma quel giocatore esperto, maturo, ma con stessa voglia di sempre ce lo si può godere solo in nerazzurro: vedere per credere i due capolavori contro Roma (che visto a posteriori sembra un flashback di un’altra prodezza argentina, datata 22 maggio 2010) e Siena.

Nella sua seconda avventura sulla sponda nerazzurra del Naviglio, Crespo scrive la storia: tris di Scudetti ed una Supercoppa Italiana, prima di una breve parentesi al Genoa ed alla giusta conclusione di carriera, in quel Parma che ha creduto in lui fin dal principio.

Una vita dedicata al suo angelo custode: grazie fútbol, ci hai salvato innumerevoli esultanze a braccia aperte e bocca spalancata. Grazie Hernán, campione vero, leggenda indiscussa.

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