SpazioInter’s Stories, Josè Mourinho: lo Special One

La rubrica ‘SpazioInter’s Stories‘ ha sempre raccontato le gesta di atleti straordinari, di eroi del passato e di campioni del futuro; allenatori che hanno creato nuovi sistemi di gioco o che hanno vinto trofei. Da ‘Veleno’ Lorenzi a Mauro Icardi, passando per Mazzola, Altobelli e Adriano. Sono state spese parole per le follie del ‘Mago’ Herrera e la praticità del catenaccio di Foni. Zappa, Pinamonti e Salcedo: giovani interisti pronti a spiccare il volo.

Il mese di dicembre è un mese differente. Natale, Santo Stefano e l’ultimo dell’anno: un mese carico di magia ma anche un mese dove si cerca di quadrare il cerchio, di tirare le somme. La puntata odierna di SpazioInter’s Stories ha questo intento: capovolgere, ribaltare qualsiasi tipo di regolare corse delle cose. Un allenatore, un condottiero e un vincente. Josè Mourinho è ognuna di queste cose. La storia del portoghese di Setubal la conoscono in tanti: dai trionfi in Portogallo con i dragoni del Porto, al passaggio in Terra d’Albione: le Premier League con il Chelsea. Poi Madrid, il ritorno in Inghilterra con i Blues di Londra, per chiudere con il recente tonfo di Manchester.

Poi, prima del suo lungo peregrinare in Europa, il condottiero lusitano ha incontrato la sua Principessa: una Principessa italiana, lombarda e internazionale. L’Inter. L’immagine del Camp Nou, sotto la pioggia degli idranti, con il dito al cielo, verso Lei, verso Noi e verso se stesso, l’abbiamo ben salda nella testa. Josè Mourinho è il tutto ed il contrario di tutto. Quando il pubblico domanda cibo, lui risponde con del vino; quando grida vendetta lui parla sottovoce. Con il suo, inconfondibile ed inimitabile stile. ‘Perchè io non sono pirla‘ diceva nel 2008, durante il ritiro a Brunico. Lo sappiamo Josè, lo sanno tutti. Amato ed odiato, ora forse più la seconda della prima, ma sempre nel cuore di noi, tifosi nerazzurri.

Questa che vado a raccontare, non sarà la semplice storia di un grande allenatore. Mourinho non è semplice: è machiavellico, è un complesso ingranaggio che gioca con i sentimenti irrazionali, trasforma paura ed angoscia in volontà, una partita a Black Jack dove il banco vince sempre. La carriera parla per lui: Wikipedia o qualsiasi altro sito d’informazione sarà in grado di aiutarvi. Quella di oggi sarà la mia, umile e personale, apologia di Mourinho. O meglio, cercherò di difenderlo e proverò a spiegare i motivi per i quali sarebbe fantastico rivederlo sedersi sulla nostra panchina. Ma spiegherò anche perchè, l’ultimo canto del cigno di Setubal non vorrei venisse eseguito alla Scala del calcio.

APOLOGIA DI MOURINHO

Se avessi voluto un lavoro facile, sarei rimasto al Porto: una bella sedia blu, una Uefa Champions League, Dio, e dopo Io“.

L’arroganza di questa frase, quasi vicina alla blasfemia è di una chiarezza prorompente. Josè Mourinho incarna totalmente lo spirito dei portoghesi: uomini di mare, non di terra. Abituati a viaggiare, a scoprire e a conquistare. Prima il mondo sconosciuto poi, grazie al football, l’Europa. “I suoi metodi sono superati, non ha più la stessa grinta. Ormai è un vecchio, è stanco“; queste frasi sono aumentate con l’aumentare dei risultati negativi del suo ultimo periodo allo United, culminato con il recente esonero da parte della proprietà dei Red Devils. Ogni allenatore ha un suo metodo di gioco, questo è chiaro. Alcuni prediligono giocatori talentuosi e sfruttano l’enorme bagaglio tecnico che hanno a disposizione, altri preferiscono fisicità ed organizzazione tattica.

Infine ci sono quelli più bravi: quelli che riescono ad estrarre sino all’ultima goccia del succo di energia di ogni calciatore che hanno a disposizione, coniugando alla perfezione i due modelli citati. A quest’ultima categoria, una sorta di Pantheon moderno, appartengono pochi allenatori. Sono gli allenatori più bravi e più vincenti; allenatori che sono riusciti, lavorando sulla mentalità di un gruppo, a farsi ascoltare e a mettere d’accordo tutti: la via migliore è quella più efficace per il raggiungimento di un obiettivo specifico. Molte volte l’equazione allenatore bravo-allenatore vincente non è esatta: non è detto che se un allenatore è bravo, deve per forza aver vinto qualcosa. Ma l’opposto è un assioma, una verità indiscutibile.

Tanti allenatori, che in questo momento godono giustamente di più credito rispetto a Mourinho, nel recente passato hanno fallito parecchie volte. Il campo di battaglia principale è la sfida Europea: Guardiola, Ancelotti, Allegri e Wenger sono stati letteralmente spazzati via dall’incontrastato dominio spagnolo. Anzi, l’unico allenatore che ha interrotto la cantilena di trofei europei di Barcellona, Atletico e, ovviamente Real Madrid è stato proprio lo Special One. Zidane, Emery e Simeone sono infatti i tre allenatori che hanno vinto tutto in questi ultimi anni.

Se il primo ha deciso di prendere un anno sabbatico dopo i fasti madrileni, il secondo è reduce da un’autentica ostracizzazione a Parigi, mentre il Cholo è l’unico ancora saldo sulla propria panchina. Ma è, per i cultori del bel gioco, cosa che ancora non si riesce bene a definire, l’allenatore più simile a Mourinho, sia per comportamenti in campo, sia per atteggiamento difensivo della propria squadra.

Il ritorno di Mourinho ad Appiano Gentile sarebbe romantico: una squadra ancora acerba, un avversario da battere e l’amore incontrastato tra i due soggetti. Sarebbe un secondo capitolo di una splendida storia d’amore, dove il sacro fuoco della passione tra i due arde più che mai. Un allenatore bravo e vincente pronto a scalare la vetta della torre più alta per poter riabbracciare la propria Principessa, ancora addormentata in un sogno profondo.

L’ULTIMO CANTO DEL CIGNO

Il rischio è sicuramente alle porte. Fare All-in è, per la natura interista, la regola più che l’eccezione. La posta è alta, l’esborso economico pure e a perdere sarebbero tutti. Il tifoso, la proprietà e Mourinho. Il primo perderebbe per paura: ricordare il passato non è mai cosa buona. Soprattutto nello sport. Ricordare il Triplete ci ha aiutato nel lento percorso riabilitativo che, si spera, sta per terminare. Avere sulla panchina il concreto ricordo di quei fasti, rischierebbe di portare il tifoso interista ad una clamorosa ricaduta. Il capro espiatorio in questo caso sarebbe proprio l’allenatore tanto amato e idolatrato. Vale la pena provare o la paura di un tracollo è più forte?

La minestra riscaldata non è buona. Non serve a nulla e non sazia nemmeno“. La proprietà, con l’innesto di un dirigente come Marotta, non fa sicuramente questi calcoli. La proprietà cinese non è riconoscente. Non rinnoverà più il contratto ad un Recoba di turno, come fece Moratti, solo perchè innamorato di questo calciatore; splendido ma pur sempre discontinuo ed indolente. Il rischio della proprietà cinese è puramente economico: il recente esonero di Mourinho, oltre al clamore mediatico insopportabile persino per lui, gli ha gonfiato il conto in banca di ben 27 milioni di euro. Mica spiccioli. Vale la pena rischiare di perdere così tanti soldi per una squadra in fase di costruzione?

L’ultimo canto del cigno: molti esperti giudicano Mourinho come un allenatore finito. Passato. Bravo ma ormai ‘datato’ ed incapace di evolversi. Le ultime cadute di stile, i rapporti non idilliaci con i migliori calciatori della rosa e le conferenze stampa improvvisate alle 8.30 di mattina, ne hanno fatto perdere definitivamente consenso anche in Inghilterra. Il rischio di Mourinho è di natura egoistica. Un egocentrico come lui, che vive dell’amore incondizionato del pubblico, abituato ad arringare la folla, a spostare l’attenzione su di sé e non sulla squadra, non sarebbe in grado di accettare un’ultima sconfitta. Lui si sente ancora competitivo, ha ancora voglia. Ma il suo ego non può permettersi di cadere ancora.

I campionati Cinesi, Arabi o Statunitensi gli porterebbero soldi, e tanti; ma poche sfide. Vale la pena per Mourinho rischiare di inimicarsi l’unico popolo che lo ama ancora? Come reagirà l’ego di un uomo che si alimenta soltanto con le vittorie? San Siro, la Scala del calcio, sarebbe disposta ad ascoltare l’ultimo canto del cigno?

A queste domande, di difficile risposta, probabilmente se ne parlerà nelle opportune sedi. Il lavoro di Spalletti è molto buono. Manca uno step, un miglioramento che solo un allenatore del Pantheon è in grado di dare. Goditi il tuo semestre di relax Josè, l’anno prossimo si ricomincia; e tu, ovunque sarai, avrai sempre uno spazio nel nostro cuore.

 

 

Impostazioni privacy