Le coccole inesauste e il peso ingombrante dei dolci ricordi

7 anni sono molti, ma la quantità degli eventi che si succedono in un determinato arco temporale ha l’effetto di cambiare la nostra percezione.

7 anni fa Javier Zanetti alzava al cielo la Champions League, la cosiddetta coppa dalle grandi orecchie, il trofeo per eccellenza per club, quello che certifica l’ingresso nella storia, l’immortalità imperitura. Un trofeo che mancava nella bacheca nerazzurra da ben 45 anni, da un’epoca in cui la denominazione era un’altra e dalle cui immagini non era possibile percepire il bellissimo accostamento del nero e dell’azzurro, dei due colori della notte. E in quella notte madrilena del 22 maggio 2010 invece, il nero e l’azzurro erano visibilissimi, risaltavano ovunque, nel cielo e nel prato, negli spalti del Santiago Bernabeu, nei cuori e nelle menti di tutti i tifosi sparsi in Italia e nel mondo.

Oggi, 7 anni dopo, il nero e l’azzurro più scintillanti sono quelli dell’Atalanta, la dea bergamasca in grado di sorprendere l’Italia calcistica e di issarsi nei posti che valgono l’accesso alle competizioni europee. Nel frattempo, il nero e l’azzurro dell’Inter sono divenuti colori sbiaditi dai desolati pomeriggi di risultati e prestazioni sconfortanti. Si sono issati a simbolo di notti buie, nelle quali è impossibile orientarsi e dove il rischio più tangibile è quello di scontrarsi all’improvviso contro qualcosa o qualcuno. E l’Inter degli ultimi anni non ha avuto alcuna bussola che l’aiutasse a trovare la direzione giusta nel buio dei passaggi di proprietà, di scombussolamenti societari, allenatori in balia e giocatori non all’altezza. Per questa ragione questi 7 anni sembrano quasi un’eternità, un tempo infinitamente più ampio di quello effettivamente trascorso.

Cosa rappresenta oggi, per un’interista, il Triplete del 2010? Un sogno realizzato, un picco di felicità forse non assaporato fino in fondo, perché la felicità si manifesta in tutto il suo bastardo splendore quando l’hai smarrita e ti rendi conto di quanto prima fosse bella e scintillante. E come sarebbe possibile non emozionarsi al solo ricordo delle fitte di ansia dei giorni e delle ore precedenti la finale, quando attorno si parla di ricostruzione per l’ennesimo anno consecutivo? Quanto può essere gratificante rivedere per l’ennesima volta il video dei goal di Milito, delle parate di Julio Cesar, degli abbracci di Mourinho, delle lacrime dei beniamini e dei tifosi? Troppo. Un passato felice non è una ragione per la quale vergognarsi, è solo la certezza di aver volato sulle nuvole, di aver abbracciato tuo padre e tuo fratello, di aver urlato a squarciagola, di aver fatto notte fonda con le sciarpe, con le bandiere, con i clacson delle macchine in festa.

Un sogno divenuto realtà, ma anche una chimera. Perché la felicità non sarebbe tale se non scatenasse il malsano desiderio di riassaporarla e riviverla. E quella coppa, quell’anno, quella notte, sono divenute aspettative troppo alte per le nostre possibilità attuali. Sono la testimonianza straziante di ciò che non siamo più, di quello che abbiamo perso, sono gli emblemi di una gloria sbiadita, di una grandezza dissipata troppo in fretta. E allora, per quanto durerà questo costante rapporto su due binari paralleli? L’unica domanda che abbia un senso e che non contenga la risposta. Fin quando ci culleremo e ci coccoleremo nel ricordo delle prodezze del principe di Bernal, del Bayern Monaco condannato senza appello, della voce di Marianella che scandisce: “sono 45 anni che l’Inter sta aspettando questo momento!”? Fin quando ci dispereremo per gli anni che passeranno prima di tornare su quella stessa vetta e guardare tutti dall’alto in basso?

Il privilegio e la maledizione. Oggi, 22 maggio 2017, il Triplete è sia l’uno che l’altra. E’ l’apice sul quale siamo saliti, ma da cui siamo stati anche sbalzati con violenza e rispediti fino agli stagni più putridi della palude pallonara. Una palude nella quale ci barcameniamo ancora a fatica, timorosi che quel sogno ci possa essere copiato, imitato, quasi rubato. Ma non sarà mai così. Campeggerà per sempre nelle nostre menti di tifosi innamorati, padre di una felicità rara, che mai dimenticheremo di aver provato e della quale non smetteremo mai di sentirci orgogliosi. 

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