Palacio, quando la riconoscenza fa più male che bene

A pochi minuti dalla fine della partita contro l’Atalanta, Rodrigo Palacio ha avuto sui piedi la palla del match, che probabilmente avrebbe regalato una tanto desiderata quanto immeritata vittoria per l’Inter su un campo ostico come quello di Bergamo.

Peccato che l’argentino non sia riuscito a sfruttare l’occasione, perdendo quel tempo necessario sia per provare la conclusione da ottima posizione sia per fornire un assist al bacio ad Icardi, che a quel punto non avrebbe dovuto far altro che spingere il pallone in rete.

A questo punto è quanto mai doveroso chiedersi sia stata stata corretta la decisione da parte della dirigenza nerazzurra di prolungare, non più tardi di una settimana fa, il contratto ad un giocatore in evidente parabola discendente, con la carriera ormai sul viale del tramonto.

Attenzione: nessuno mette in dubbio le qualità tecniche di Palacio e quanto sia stato importante il suo apporto alla causa nerazzurra in passato, ma è arrivato il momento di chiedersi se a volte la riconoscenza faccia più male che bene al giocatore e alla squadra.

Appare ormai evidente che, anche per l’età, El Trenza non sia più in grado di dare quel contributo che ha sempre dato nel corso della sua carriera in Italia, sia al Genoa che all’Inter. Mancini per il puntero argentino gli ha ritagliato il ruolo che in passato era stato dato ad Altafini e a diversi attaccanti ormai avanti con l’età, ovvero l’ingresso in campo nei 10-15 minuti finali, nel tentativo di risolvere una partita complicata con una giocata.

Ecco, in questo momento, questo Palacio non è in grado di dare nulla nemmeno in quei minuti finali di una partita e la gara contro l’Atalanta ne è un’enorme dimostrazione: a volte, dunque, un’eccessiva riconoscenza verso un giocatore potrebbe trasformarsi in qualcosa di deleterio.

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