Dicembre 2014, esattamente il 21 dicembre dello scorso anno e la partita da poco conclusa era Inter-Lazio 2-2. La classifica invece recitava così: Juve prima con ben 39 punti, 12 vittorie, 3 pareggi, 1 sconfitta, 34 gol fatti e 7 subiti. Poi in ordine si trovavano: Roma, Lazio, Napoli, Sampdoria, Genoa, Milan, Fiorentina, Udinese e Palermo. L’Inter? Già, i nerazzurri occupavano l’11° posto in classifica, con ben 6 pareggi, 5 vittorie ed altrettante sconfitte e le reti subite erano ben 23.
La classifica della serie A ad oggi invece recita così: Inter prima con 17 partite giocate, 36 punti, 23 gol fatti e solo 11 subiti.
Chi l’avrei mai detto? Chi avrebbe solo potuto immaginare una cosa simile?
Qualcuno però (forse) sì. Il ds Ausilio innanzitutto iniziava forse a comprendere che l’aria stava cambiando e non sarebbe stato un venticello leggero a cui occorrono anni anche solo per spostare una foglia, ma sarebbe assomigliato più ad uno tsunami, ad una rivoluzione per riportare in alto i colori ed il blasone. Anche il presidente Thohir che iniziava a mettere insieme una società “Internazionale” basata sui curricula e sulla credibilità, che metteva uomini giusti al posto giusto e pensava in grande, in grandissimo, dal mercato allo stadio, dal merchandising al blasone, dai risultati al lavoro sul campo. E Mancini che prima di tutto puntava sul superamento delle circostanze, sì sul lavoro tattico ma soprattutto su quello mentale, per scrollarsi di dosso scorie, scheletri, paure e provincialismo. Da lì e solo da lì è nato il Rinascimento nerazzurro.
A noi e a tutti gli altri non rimane che fare mea culpa per non aver creduto, per non aver pensato che il progetto questa volta era solida e che la svolta era vicina. D’altronde il tecnico l’aveva detto: “L’anno prossimo dobbiamo lottare per lo scudetto”. Ed ancora: “Una rivoluzione a volte fa bene…” per concludere con “Cambieremo 10 uomini…”.
Il progetto avanza, il lavoro continua, intanto Buone Feste da capolista.