Editoriale – La partita dall’esito scontato e sperato

Nella vita, e dunque nel calcio, che della vita è perfetta metafora, si vive di impressioni, di sensazioni. Da impressioni e sensazioni scaturiscono poi dei pareri, dei giudizi. Ognuno è libero, perciò, di maturare la propria convinzione, a seconda delle pulsioni avvertite. Il libero arbitrio è bello proprio perché vario, perché consente di conoscere le differenti sfumature di pensiero possibili, le varie interpretazioni immaginabili di un dato aspetto o fenomeno. Il dono del libero arbitrio è dunque prezioso, ma va gestito. Bisogna fare in modo, infatti, che la soggettività non prevalga eccessivamente sull’oggettività di una qualsiasi questione. Tralasciando le proprie impressioni, infatti, si dovrebbe tenere a mente, innanzitutto, che quando c’è da analizzare e riflettere su un risultato o su qualsiasi dato già acquisito e comprovato, il giudizio personale va subordinato ad esso. Non è affatto un limite al libero pensiero individuale, ma soltanto un meccanismo più che logico. Se in Formula 1 una vettura arriva prima, dopo la corsa si parlerà delle ragioni che hanno permesso a tale macchina di giungere al traguardo per prima rispetto alle altre. Così funzionava anche nel campionato di calcio fino alla scorsa stagione, prima che l’Inter tornasse di prepotenza ai vertici del calcio italiano, tornando a lottare e a battagliare per gli obiettivi più importanti, anzi, tornando addirittura ad avere il lusso di guardare tutti dall’alto in basso. Una situazione che potrà anche essere effimera, ma intanto è una circostanza tangibile e sotto gli occhi di tutti. Inter con 30 punti dopo 13 giornate, non 3, ma 13, un arco temporale che dovrebbe essere già sufficiente per smascherare eventuali bluff. Evidentemente non la pensano così gli illustri esperti e sapienti dell’italico mondo del pallone, per nulla estasiati dalla squadra di Mancini, che si soffermano insistentemente, invece, sui motivi per cui l’Inter NON dovrebbe essere in testa alla classifica. Troppi moduli, troppi uomini cambiati, intese che non vanno, gioco che non brilla. Il post-partita di Inter-Frosinone è stato quanto di più strano ci potesse essere: le partite di Roma e Fiorentina avevano già dimostrato l’insidia post-Nazionali delle sfide semplici sulla carta, l’Inter era uscita dal campo con un risultato rotondo, aveva messo in mostra goal e pregevoli trame offensive, aveva guadagnato il primato solitario in classifica con la quarta vittoria consecutiva e senza subire goal.

Eppure, chiunque non avesse avuto la possibilità di guardare la partita, ascoltando le parole dei vari Vialli e Bergomi la sera stessa, leggendo gli articoli della Gazzetta dello Sport del giorno dopo, venendo a conoscenza delle affermazioni del santone Sacchi, che negli ultimi vent’anni non si sa cosa abbia fatto di così speciale per meritare di essere ascoltato su ogni questione calcistica manco fosse l’oracolo di Delfi, o del faziosissimo tifoso juventino Mughini, travestito da intellettuale dalla mente pressoché brillante, non avrebbe forse capito che l’Inter era stato in grado di vincere in maniera piuttosto netta. Partitine, gioco antico, attaccanti che non fanno lavoro di squadra, giocatori egoisti che pensano a segnare, possibili rinforzi da chiedere a gennaio, sono questi gli argomenti preferiti quando si parla di quella che è, al momento e di diritto, la prima della classe. Di Miranda e Murillo invulnerabili però, dei vari terzini in grado di farsi trovare sempre pronti, della rinascita di Biabiany, di Ljajic che dopo le tante panchine sta diventando importante per Mancini, di Brozovic che entra e segna, di Handanovic che para, non importa nulla a nessuno, sono sottigliezze che non hanno rilevanza alcuna. Anzi,  Handanovic che para sì, perché significa che la difesa non è così forte, ma solo fortunata.  Gianluca Vialli continua la sua personale crociata contro Icardi, che non lavora per e con la squadra. Vuoi mettere Mandzukic che fa giocare bene Dybala? Che poi il croato si dimentichi lui di toccare palla è un dato secondario. Che Icardi abbia fatto una bella azione con Ljajic in occasione della seconda rete e che abbia mandato due volte in porta Biabiany non è degno di essere sottolineato.

Per fortuna di tutti, però, lunedì arriva il Napoli, la meravigliosa squadra di Sarri, dal gioco strepitoso, la creatura perfetta costruita da un vero tecnico, che si è costruito da sé, che ha fatto la gavetta, mica un raccomandato come Mancini, che ha avuto la fortuna di allenare sempre grandi squadre, bravo solo a farsi comprare i giocatori e “sopravvalutatissimo” secondo le geniali e imparziali menti intenditrici di Liguori e Auriemma. Per fortuna lunedì sera si metterà fine allo scempio di una squadra prima senza un modulo definito, ci sarà il trionfo del gioco, dell’estetica, della mentalità offensiva. Se ciò succederà, saremo i primi a riconoscere i meriti di quella che, finora, si è rivelata davvero una straordinaria compagine, capace di coniugare alla perfezione spettacolo e pragmatismo.

Nel frattempo, non sarebbe male rispettare la fatica di tante persone che stanno lavorando al massimo per riportare una gloriosa squadra italiana ai suoi livelli più consoni.

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