La partita vista da Thohir: vino, cibo, amici e delusione…

La Gazzetta dello Sport, in edicola questa mattina, ha riportato un lungo ed interessante reportage sulla partita vissuta da Erick Thohir in quel di Giacarta. Ecco quanto riportato dal quotidiano.

Qui Giacarta, centralissimo quartiere di Sudirman, business district, tutto uffici, centri commerciali e locali alla moda. Fuori dal «Roxy» solo Ferrari, Lamborghini e altre auto di lusso. Arriviamo con Thohir pochi minuti prima del fischio d’inizio, attraversiamo la zona all’aperto piena di belle ragazze e imbuchiamo una scala che ci porta al «Lucy in the sky». Sala gigante, doppio schermo, in prima fila tavolini e due divani ad «elle». Dietro, diverse sedie e anche un tavolo molto lungo. Ad attendere ET ci sono pure i due figli maschi. Arfala, 14 anni, ha la maglia bianca da trasferta col numero dieci. Aga, 13, indossa la nerazzurra con lo stesso numero. E’ quello che nasceva juventino, ma ora garantiscono che si è convertito. «Mia moglie Lisa mi ha dato il permesso di farli venire – ci spiega Thohir -, ma soltanto se a fine partita vanno subito a casa. Domani (oggi, ndr.) c’è la scuola». Tra i tanti, sbucano Isenta Hioe – che siede nel Cda dell’Inter e ha portato a sua volta due figli di nerazzurro vestiti -, l’altro consigliere (e azionista al 14%) Handy Soetedjo, l’enorme Wisnu Wardhana, farfallista all’Olimpiade di Atlanta ‘96, e l’amico fraterno di Thohir, Felly Imransyah, che è pure il proprietario del locale e alla fine supponiamo abbia «vinto» il conto.

Schieramenti e chili – Il clima è molto informale – siamo gli unici in camicia… – e gli schieramenti sono subito chiari. Thohir, Hioe e Soetedjo siedono sui divani, dietro stanno gli altri, tra cui il gruppo dei viziosi che inizia a fumare e bere. Occhi alla partita, ma senza trascurare lo stomaco. Ci sono piatti colmi di cosce di pollo fritto. Malgrado siamo reduci dal ristorante, ET sfoga la tensione bevendo the in lattina e buttandosi sulla carne. «In cosa è cambiata la mai vita da quando ho preso l’Inter? Ho messo su sei chili…» in effetti ci aveva detto poco prima. Inizia il match, Thohir prima si alza per regolare l’aria condizionata, poi tira qualche gridolino per la parata di Handanovic su Cigarini. Al 22’ Icardi entra in area da destra, lui scatta in piedi e dice tre «yes». Ma Consigli salva. «Non troviamo il ritmo, li vedo ancora poco organizzati» ci dice prima di alzarsi per accogliere una persona importante.

Arriva il ministro – Muhammad Lutfi è il ministro del Commercio, coetaneo e amico di Thohir da quando avevano sei anni. «Eravamo compagni di basket, io centro e lui guardia – racconterà nell’intervallo Lutfi -. Ci siamo anche presentati a vicenda delle fidanzate e siamo stati soci d’affari prima che io nel 2004 intraprendessi la carriera politica. Per anzianità, il primo interista sono io. Mi sono innamorato della squadra nel 1984, con Rummenigge». In effetti risulterà il più concentrato sul match.

Statua di sale – Quando Bonaventura fa 1-0, Thohir si limita ad alzare gli occhi al cielo. Delusione in sala, ma in un attimo è festa per il pareggio di Icardi. ET è una statua di sale. Pensiamo possa essere la presenza del fotografo che lo marca stretto («paparasi» li chiama lui, molto schivo), invece ci spiega che non era sicuro che la palla fosse entrata.

Così diversi… I primi applausi – qui vanno di più i gridolini – arrivano su un cross di Jonathan. Intervallo. Poteva mancare altro cibo? Mentre a Milano Massimo Moratti per la tensione starà aggredendo l’ennesima sigaretta, Thohir a Giacarta si butta su un riso con carne e verdura… Due presidenti, due culture e due modi diversi di vivere il match. 

Scherzi, solidarietà e silenzi – Inizia il secondo tempo, ognuno torna in postazione. ET fa un blitz in bagno e mentre passa fa uno scherzo a un amico facendolo sobbalzare con un «buh buh» nell’orecchio. Ma non parlate di cori razzisti… Un ragazzo non si accorge di essere arretrato troppo con la sedia e cade all’indietro da un gradino. Risate generali. Tra amici. Il presidente non si risiede, resta in piedi vicino ai figli. Mani nei capelli al palo di Palacio. Applausi generali quando entra Nagatomo. Solidarietà asiatica. Hernanes prende l’esterno della rete. Quelli seduti più lontano, che sono anche quelli un po’ alticci, gridano al gol. Sembra fatta su un altro legno di Jonathan, poi Icardi sbaglia da un metro. Thohir non muove un muscolo. Il problema è che allo scadere segna ancora Bonaventura e a quel punto cala un gran silenzio.

Difesa poco attenta – E’ finita nel modo peggiore, ET rincuora gli amici ma non nasconde l’amarezza. «Vedere una gara dal vivo o in tv è molto diverso. L’attacco non mi è dispiaciuto – racconta -, ma abbiamo sprecato troppe occasioni. Ho visto la difesa meno solida e attenta rispetto alle gare precedenti. Abbiamo preso due gol evitabili, con la squadra schierata. Soprattutto il secondo. Capisco fossero arrivati in contropiede, ma non così. Perché anche sull’1-0, dopo l’incertezza di Campagnaro, il break degli avversari sembrava terminato ed eravamo rientrati. Hernanes non mi è dispiaciuto, ma può fare di più e stavolta ha trovato meno intesa e ritmo con Cambiasso e Guarin. Così ci abbiamo provato sulle fasce, ma i cross erano imprecisi e i centrali dell’Atalanta sono stati bravi. Ora mancano nove partite e dobbiamo ritrovare il passo giusto per raggiungere l’Europa».
Il ritorno Giovedì contro l’Udinese a San Siro ci sarà anche lui. Sabato tornerà in Indonesia per poi ripresentarsi a Milano dal 3 al 6 aprile. Provi a consolarsi così: oltre alla pancia, l’Inter gli sta facendo lievitare il conto «millemiglia».

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