“Rivendico con orgoglio la storia e il presente del Milan: primissimi in Europa e primi in Italia negli ultimi cinque anni!”. Parola di Adriano Galliani: amministratore delegato di professione, esperto in statistica per hobby.
In tempi di magra, quando le bacheche ricche di trofei impolverati iniziano a riempirsi con più fatica, è giusto rinnovarsi e farsi cullare dalle piacevoli onde del mare verso lidi inesplorati. Dalla frase ad effetto “siamo il club più titolato al mondo” al nuovo incombente tormentone “siamo primi in Italia per punti realizzati”: questo il brusco passaggio dettato dalle parole del dirigente rossonero, testimonianza della vivida fantasia di quest’ultimo e del differente peso specifico assunto dalle ambizioni milaniste. Una precisazione che rischia di trasmettere ai tifosi rossoneri non tanto un sentimento d’orgoglio, quanto invece il forte ridimensionamento della squadra meneghina in quest’ultimo quinquennio.
Non è compito nostro, però, trovare la giusta interpretazione al Galliani-pensiero e impostare il discorso su un piano prettamente ideologico, mentre sarà sicuramente più utile un’analisi approfondita di dati che (forse) sono sfuggiti al numero due della società di Via Turati.
I numeri presentati alla conferenza stampa di Kakà sono da ritenere giusti, escludendo la facile obiezione che i punti totalizzati sono soltanto il mezzo per conquistare un trofeo, ma non rappresentano il trofeo medesimo.
Prendiamo in considerazione, innanzitutto, il ranking Uefa che analizza il quinquennio compreso tra la stagione 2008/2009 e l’ultima disputata: il Barcellona mantiene la testa del gruppo, seguito da Bayern e Chelsea, mentre il Milan occupa la quattordicesima piazza, guardando dal basso verso l’alto il settimo posto dei cugini nerazzurri. Se esaminassimo, invece, la classifica comprensiva dei dati riferiti alla odierna annata, ci accorgeremmo della relativa scalata rossonera fino al dodicesimo posto e dell’unica posizione persa dall’Inter.
L’Iffhs (Istituto internazionale di Storia e Statistica del calcio) ha redatto anch’esso una propria classifica che vede il Chelsea primo, la Juventus ottava, l’Inter nona e il Milan soltanto quarantesimo. Studi teorici e pressocchè inutili che non rispecchiano minimamente la realtà fattuale, come del resto non rispecchiano la situazione italica ed europea le statistiche di Adriano Galliani.
Il dirigente originario di Monza, però, non si ferma e, anzi, rincara la dose “Il Milan è tra le sette squadre che in questi cinque anni hanno sempre disputato il group stage in Champions League”. Ora, come prima, ci ritroviamo davanti ad affermazioni fondate, se non fosse per il fatto che, ancora una volta, queste siano dirette a mostrare una sola faccia della medaglia e ad esaltare ciò che ha ben poco di esaltante.
Il miglior risultato internazionale ottenuto recentemente dal “Diavolo” è stato il raggiungimento dei quarti di finale risalente alla stagione 2011/2012, quando fu il solito Barcellona a trasformare le speranze in semplici illusioni e i sogni di gloria in incubi spaventosi, grazie al 3-1 maturato al Camp Nou.
Puntualizzazione doverosa riguarda il celebrato posto al sole del Milan nell’Europa che conta, territorio di conquista della squadra rossonera e di altre sei squadre, tra cui Bayern, Barcellona, Real Madrid, Chelsea, Manchester United e Arsenal. Peccato che Galliani abbia omesso di dire (per semplice dimenticanza, è ovvio) che tali squadre siano state inserite nelle griglie di partenza come teste di serie (insieme a Porto e Benfica), a differenza del Milan, che condivide la seconda fascia con la Juventus di Antonio Conte. Inserire la società di via Turati tra quelle che in questi anni si sono date battaglia fino all’ultimo atto della competizione, dunque, sembra quantomeno discutibile.
In ultima analisi, potrebbe ritornare utile un confronto “storico”, che dimostri il divario tra un passato vissuto da protagonisti ed un presente mediocre. Se di quinquennio vogliamo parlare, sulla scia tracciata da Galliani, dal 2003 al 2008 il Milan ha trionfato su ogni fronte, arricchendo le propria bacheca di una Champions League (senza dimenticare la finale di Istanbul e la semifinale raggiunta nel 2005/2006), un Mondiale per club, due Supercoppe europee, uno Scudetto e una Supercoppa italiana. La storia dice questo, i dati numerici dicono, invece, che i rossoneri nel periodo considerato hanno totalizzato 344 punti in campionato, realizzandone ben 34 in meno del Milan di oggi (378).
Dimostrazione evidente del fatto che conteggi simili siano fuori da ogni logica vincente e dal sapore squisitamente retorico per chi si professa abituato a ben altri palcoscenici. Laddove c’erano Nesta e Maldini ora ci sono Zapata e Mexes, laddove c’erano Gattuso, Seedorf e Pirlo, ora ci sono Poli, De Jong e Montolivo e laddove c’era un Kakà da pallone d’oro ora ce n’è uno che ha vissuto quattro anni al freddo in cantina, come un Botticelli nascosto al pubblico: questa è la cruda realtà nascosta dietro a numeri e parole.
E, nonostante tutto, anche un amante dei numeri, come l’ad rossonero, vorrebbe tornare a vivere la storia ammassando pile di coppe, piuttosto che puntare ad essere “la squadra che ha totalizzato più punti in Italia”.
C’è chi con un sorriso amaro ammette il periodo di difficoltà e sopporta il peso di un presente modesto e chi, dal canto suo, preferisce la mistificazione e la retorica come fedeli compagne di viaggio. A voi la scelta…