ESCLUSIVO – Schillaci: “Zanetti è una forza della natura, tornerà presto. All’Inter non ho avuto fortuna perchè…”

Esclusiva Totò SchillaciUna vita vissuta sulle note di “Notti magiche“. Ascoltando e riascoltando il successo di Gianna Nannini e Edoardo Bennato, sembrano riaffiorare nella mente le gesta calcistiche di chi, partito dal quartiere popolare di San Giovanni Apostolo di Palermo, è arrivato ad indossare la maglia azzurra della Nazionale Italiana. Questa è la favola di Salvatore Schillaci, icona di Italia ’90 ed esempio per chi, iniziando a calciare un pallone per le strade e sui campetti di periferia, sogna di poter percorrere un giorno le sue stesse orme.

Sette anni al Messina, tre alla Juventus e due all’Inter prima di emigrare in Giappone per chiudere definitivamente la propria carriera, paragonabile a un’altalena che oscilla tra il raggiungimento di grandi traguardi e la difficoltà nel mantenere un rendimento costante nel corso del tempo.

Soffermatosi ai nostri microfoni, Schillaci ha ripercorso le tappe più importanti del suo passato fino ad arrivare a un presente, che lo vede gestire il centro sportivo Louis Ribolla” nella sua amata Palermo.

Iniziamo dalla sua avventura al Messina. Nel 1982 viene ingaggiato dalla squadra siciliana con la quale disputerà sette campionati mettendo a referto 77 reti. Durante questa esperienza ha avuto due ottimi allenatori come Franco Scoglio e Zdenek Zeman: quanto ha influito il loro insegnamento sulla sua carriera?

“Quando ero allenato da Scoglio ero molto piccolo. Mi ha dato tutto il suo appoggio ed è stato importante, perché quando si è ragazzini si può rischiare di fallire. Mi trattava come se fossi suo figlio, riconosceva le mie qualità tecniche e umane e con lui sono cresciuto moltissimo. Zeman, invece, è uno dei migliori allenatori. E’ molto preparato a livello tecnico e atletico. Il suo gioco fa divertire, dedica molto tempo alla fase offensiva e meno alla fase difensiva e riesce a valorizzare molti giovani, come è successo a Foggia o a Pescara. Non guarda in faccia a nessuno, solo chi si impegna e sta bene scende in campo la domenica”.

Il suo trasferimento alla Juventus avviene nel 1989. Come ricorda il suo debutto in Serie A e, soprattutto, come mai un giocatore che arriverà a vestire la prestigiosa maglia della Nazionale, ha potuto esordire “soltanto” a 25 anni?

“Ci sono state tante offerte, grazie alle quali avrei potuto anticipare il mio esordio nella massima serie. Il presidente Massimino, però, le declinava perché teneva al fatto che giocassi nel Messina. Nel 1989, però, arrivò la richiesta della Juventus e ha dovuto cedere di fronte ad una squadra così importante. Per quanto riguardo il mio esordio, fu contro il Bologna in casa. Naturalmente grande emozione e tanto timore. Si trattava di capire ed entrare nella realtà della Serie A. Dopo quella partita Zoff mi disse di giocare come se fossi a Messina e questo mi ha dato molta più tranquillità”.

Arriviamo al fatidico Mondiale nel quale lei partì come sostituto di Carnevale e in poco tempo si impose fino a diventare capocannoniere della competizione. Qual è il ricordo che ha più impresso nella mente? E quale era il suo rapporto con Roberto Baggio?

“Dopo la conquista della Coppa Uefa e della Coppa Italia con la Juventus, fui convocato in Nazionale. Fu un anno importante nella mia vita calcistica. Sono stato l’ultimo convocato, non mi aspettavo di prendere parte ai Mondiali. Vicini mi portò in panchina e per me fu già un bel regalo. Il mio ricordo più bello è proprio legato al momento della convocazione. Su Roberto Baggio, dico che era un grande giocatore, un grande professionista. Ero in camera con lui e in campo ci chiamavano i gemelli del gol. Era molto schivo, sensibile e riservato ma quando entrava in campo… Ci fu una rissa tra noi due? I giornali esagerano sempre…”.

Dopo altre due stagioni sottotono alla Juventus, passò all’Inter: fu la Juventus a volerla cedere o lei a volersene andare?

“Da parte mia non ci fu alcuna richiesta indirizzata alla società. Si cambia spesso maglia e arrivò la richiesta da parte dell’Inter che, insieme a Juventus e Milan, è una società storica e tra le più importanti della Serie A”.

L’Inter in cui ha giocato era una realtà completamente diversa da quella attuale. Quali sono le principali differenze?

“Il presidente era Pellgrini che, economicamente, non era Moratti. Avevamo giocatori che, sulla carta, non erano il massimo ma in campo davano molto. Il primo anno arrivammo secondi a quattro punti dal Milan di Capello, nonostante avessimo una squadra mediocre. Poi arrivò Moratti che spese tantissimo e rinnovò tutta la rosa acquistando grandi campioni e vincendo tutto. Parliamo di due presidenti che hanno amato e continuano ad amare l’Inter, ma che sono molto diversi l’uno dall’altro soprattutto a livello economico”.

Cosa non le ha permesso di incidere in modo particolare a Milano?

“Io arrivai all’Inter con molto entusiasmo. Volevo dimostrare che potevo continuare a stare in una grande squadra e che non ero finito. Purtroppo ho avuto parecchi infortuni, che non mi permisero di avere grande continuità. L’Inter è stata una parentesi sfortunata”.

Durante la prima stagione in nerazzurro, dopo un inizio catastrofico l’Inter riuscì a dare vita ad una bella rimonta con sei vittorie consecutive. Quale fu il momento-chiave della stagione?

“Io non vivevo tantissimo con il gruppo, visto che non partecipavo alle sedute per i miei molteplici infortuni. Quell’ anno ci furono tanti alti e bassi, come spesso nella storia dell’Inter. Anche nel mio secondo anno nella squadra nerazzurra, vincemmo la Coppa Uefa e, dall’altra parte, ci salvammo a stento”.

Quale fu il suo rapporto con Marini, subentrato a Bagnoli dopo la sconfitta interna con la Lazio?

“Aveva le sue idee. Io recuperai ma lui mi lasciava in panchina. Non fu un buon rapporto e nemmeno un buon anno, ma io accettavo le sue decisioni con professionalità”.

Dopo l’Inter l’approdo in Giappone. Cosa l’ha spinta a questa scelta radicale e come valuta il calcio giapponese?

“Avevo quasi 30 anni. A me piacciono le sfide e pensai al mio futuro. In Italia avrei trovato comunque una squadra modesta. Inoltre incisero anche ‘ragioni di portafoglio’. Fui il primo giocatore a fare questo tipo di scelta e, poi, tanti altri hanno seguito il mio esempio. In Giappone ci sono tanti ragazzi che hanno passione, sono molto volenterosi e sono buoni anche tecnicamente. Mi ricordo che partivano a razzo e calavano, soprattutto mentalmente, nei secondi tempi”.

Qualche rimpianto nella sua vita calcistica?

“Sono stato molto fortunato. Se oggi posso girare il mondo, lo devo al fatto di aver indossato la maglia azzurra. La ciliegina sulla torta sarebbe stata poter giocare con il Palermo e chiudere la carriera davanti al mio pubblico. Avrei giocato pure ‘a gettoni’ pur di indossare la maglia rosanero”.

Ci sono tanti ex-giocatori che, in un secondo momento, intraprendono la carriera di allenatori, dirigenti o commentatori. Come mai la scelta inusuale di ritornare a Palermo e gestire il centro sportivo “Louis Ribolla”?

“Io ho sempre adorato Palermo. A parte le sue problematiche, è una bellissima città. La amo con tutti i pregi e difetti. Sono tornato perché i miei familiari sono di questa città e qui posso mettere a disposizione la mia professionalità ai bambini che sognano questa carriera”.

Quali sono i maggiori problemi dell’Inter del presente?

“E’ finito un ciclo. Inoltre le squadre italiane oggi non possono competere con le società tenute da sceicchi, russi… Non c’è nessuna società italiana che può competere economicamente con Bayern, Psg, Manchester United, Manchester City, Chelsea”.

Crede nella salvezza del Palermo?

“Al 90% non credo si salverà. Il Palermo ha avuto tanti giocatori importanti in passato, oggi invece rischiamo di retrocedere. Zamparini dovrebbe capire che non si possono vendere sempre i pezzi migliori e mi auguro che possa prendere esempio da questa situazione per allestire una squadra che abbia altri obiettivi. Non fanno bene tanti cambi di allenatore”.

Un pensiero finale per Zanetti, che si è dovuto sottoporre ad una delicata operazione al tendine d’Achille.

“Mi dispiace tanto. E’ un grande atleta e un grande professionista. Lui ha ancora tanta voglia di rimettersi in gioco, anche se è a fine carriera. Mi auguro che si possa riprendere presto perché è un grande uomo. E’ una forza della natura”.

 

Marco Torretta

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