Nemo propheta in patria

Doveva essere la partita di Stramaccioni, l’ennesimo esame al cospetto dei professori dell’alma mater; una sfida contro le sue origini, i suoi amici, i suoi pupilli, i suoi maestri; il giorno in cui incontri chi ti ha cresciuto e puoi raccontargli e dimostrargli tutto il buono che sei riuscito a fare anche in loro assenza. Doveva essere la partita di Stramaccioni e tale è stata. Inter-Roma sarà ricordata come la partita in cui per la prima volta Stramaccioni sbagliò qualche scelta di troppo.

Il tecnico romano ha dimostrato più volte di essere un conoscitore e studioso del calcio, ma a quanto pare deve aver saltato a piè pari i capitoli dei libri di storia in cui si parla di Zeman. Pur non essendo una squadra ancora del tutto “zemanizzata”, la Roma è una squadra che va ferita con giocatori rapidi che ne allarghino le maglie difensive per attaccare la profondità. Troppo lenti e stanziali Cassano e Milito per Burdisso e l’ottimo Castan.

Il tridente leggero con Coutinho a far male sugli esterni per lasciare gli spazi in cui Sneijder poteva lanciare Palacio sarebbe stata la scelta più corretta. La forza della rosa nerazzurra sta nella varietà offensiva che deve essere sfruttata con razionalità e coraggio. Quando ciò non accade il gioco risulta lento e prevedibile come ieri sera. Stramaccioni decide di puntare tutto su Piris, sicuramente l’anello debole della catena giallorossa, concentrando tutte le sue armate sul lato sinistro del campo, come se fosse un giocatore di Risiko: Nagatomo, l’esordiente Pereira, Cassano e talvolta Milito e Sneijder.

Cercare il gol non è come provare a conquistare la Kamčatka e la concentrazione di uomini in fascia serve solo a favorire il paraguaiano che evita gli uno contro uno, ricevendo maggiore aiuto dai compagni che sono legittimati a stare nei suoi paraggi. L’Inter è una squadra con personalità e lo dimostra rimanendo in partita fino alla rete del due a uno nonostante una gestione demenziale delle proprie risorse, che vede la scena finale proprio dopo il gol di Osvaldo.

Quando entra Coutinho non lascia il campo lo sfinito Milito, ma Gargano, che fino a quel momento non aveva “sporcato il foglio”, regalando alla squadra l’equilibrio che altri non potevano dare. Il risultato è che Coutinho e Palacio, intanto subentrato al disastroso e immeritatamente fortunato Cassano, si perdono sulle linee esterne del campo e i rifornimenti per il reparto offensivo si esauriscono, complici le giornate-no dei trascinatori di questo inizio di stagione Guarin e Sneijder.

E’ una sconfitta che fa rabbia perché si ha l’impressione di scrivere la cronaca di un disastro annunciato fin dal momento della consegna delle formazioni ufficiali. Nonostante gli errori del tecnico, gli strafalcioni di Silvestre e Castellazzi, lo stanco trascinarsi per il campo dei fuoriclasse e – insolitamente – del capitano, l’Inter è rimasta in partita per buona parte della gara contro un’avversaria destinata a terminare tra le prime cinque del campionato.

La squadra dal punto di vista mentale c’è ed è un merito che non può essere negato all’allenatore. La sosta sarà l’occasione giusta per sistemare qualche dilemma tattico ancora irrisolto. E se Stramaccioni non è riuscito ad essere profeta contro la sua patria, pazienza. Ci sono ancora tanti luoghi da conquistare. Tranne la Kamčatka.

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