Gioventù bruciata

Sbaglia Samuel, strabilia Zanetti, decide Milito. Se nell’immaginario collettivo l’avvento di Stramaccioni doveva segnare l’inizio dell’era dei giovani, l’incipit non può soddisfare. Allora meglio cominciare con “L’Inter vince. Sono sette punti in tre partite”: l’avvio che soddisfa qualsiasi tifoso. A maggior ragione se la sua squadra non ha obiettivi più ambiziosi del provare a vincerle tutte e “vedere che succede”.

Nel passaggio dall’adolescenza calcistica all’età adulta, a Stramaccioni si presenta una prova di coraggio, quella che James Dean in “Gioventù bruciata” chiamava chicken run: lasciare a questa squadra che difficilmente sarà ancora sua un segno più tangibile di qualche vittoria rocambolesca. Un allenatore a 36 anni ha bisogno di mostrare capacità e personalità. Sulla prima non ci sono dubbi: i miglioramenti dal punto di vista del gioco sono lievi ma palpabili e sono stati arginati difetti talmente manifesti da apparire chiari anche a Costacurta, come la vulnerabilità sulle ripartenze avversarie. Stupisce piuttosto la scelta di continuare a puntare sui senatori (a vita, a quanto pare) in luogo di quella gioventù, già esigua di suo, e sempre più bruciata.

La scelta di relegare Poli e Ranocchia ancora una volta in panchina è inspiegabile a priori e delittuosa a posteriori, alla luce delle prestazioni di Cambiasso, incursore non tornante, e Samuel, per una sera travestito da Lucio, su tutti. Non può e non deve stupire che i migliori in campo siano Obi, tonico e propositivo pur essendo stretto nella morsa di deficienza tattica tra Chivu e Zarate, e Zanetti, all’ennesima tappa della sua carriera da under 21 ad interim, mentre Alvarez, relegato al rientro in un ruolo non suo, fa fin troppo in una squadra in cui il fantasista fa da predicatore nel deserto.

Ma l’importante è vincere per continuare a sperare. In cosa, non si sa. Basta vincere. Come se la lezione di questi due anni non abbia insegnato alcunchè. “Ci si mette molto tempo per diventare giovani”.

Non molto, Pablo. Troppo.

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