Promemoria dall’Europa

“Incompetente, metti una seconda punta in campo!”. “Idiota, non vedi che serve un regista vero che faccia girar palla?”. “Folle, sostituisci un trequartista con un mediano quando ci serve segnare?”.

Queste sono alcune delle espressioni che il tifoso di una qualsiasi squadra “normale” avrebbe rivolto al proprio allenatore. Ma l’Inter non è una squadra normale, non ha una seconda punta, un regista o un trequartista. Non ha tante altre cose. Non ha quasi niente. Ha soltanto l’orgoglio appannato di tanti campioni in declino, l’entusiasmo caotico di pochi giovani in rampa di lancio e un “handyman” travestito da allenatore: quel che basta per giocare qualche partita occasionale oltre i propri limiti, ma non quel che serve per vincere.

L’Inter scivola sul Marsiglia: sembra lo slogan per uno spot sul sapone, ma è solo calcio. Tristissimo calcio. E dopo lo sconforto iniziale, il rischio è che, a mente fredda, tocchi tirare un sospiro di sollievo, memori della scoppola subita nei quarti dello scorso anno e consci delle scarse qualità dell’Inter, insufficienti al cospetto delle grandi d’Europa. Bastano due gol nel recupero dei Marsigliesi, che – tanto per non perderci neanche uno stereotipo – di quelli più infaustamente famosi di certo non ricordano la ferocità.

Centottanta minuti trascorsi fra sofferenze bibliche simulate dagli uomini di Deschamps e il niente alternato al nulla, culminato nel gol qualificazione di un centravanti mediocre che farebbe fatica a trovare spazio nelle serie inferiori calcio italiano. Marsiglia e Milano sono stati il palcoscenico del tragico spettacolo messo in piedi dalla società interista, di cui per tutta la durata della stagione gli uomini in campo sono stati (e purtroppo saranno ancora) gli incolpevoli e inconsapevoli interpreti. La trama è banalotta: di storie di vecchi idoli che col passare degli anni perdono la gloria di un tempo ne sono piene la cinematografia e la letteratura degli ultimi anni.

Ma ci sono scene che restano, come promemoria che chi rimpiange già i tempi andati da non troppo dovrebbe guardare e riguardare: un giocatore di esperienza come Chivu che si distrae nei minuti di recupero regalando il gol risultato in fin dei conti decisivo, fuoriclasse come Sneijder e Milito che mancano gol già fatti, la presenza del solo Zarate come punta di “movimento” che tanto sarebbe servita contro i lenti centrali francesi, un “corridore” (seppur il più forte nel genere della storia del calcio moderno) come Javier Zanetti eletto a go-to-guy di una squadra senza idee. Tutti dati tattici estratti dalla scatola nera del malconcio apparecchio chiamato Inter.

Ma c’è un istante che fornisce la giusta chiave di lettura della stagione interista: entra in campo Cambiasso tra gli applausi fragorosi di San Siro. Non è incoerenza: i fischi della gara contro il Catania non volevano punire lui, ma chi l’ha messo nelle condizioni di apparire come un mediocre.

Perché se già è difficile sopportare che chi deve progettare il nostro futuro sia incapace di farlo, tollerare che quelle stesse persone devastino il mito dei campioni che ci hanno regalato un glorioso passato, che difficilmente in tempi brevi rivivremo, è semplicemente impossibile.

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