Ecco perchè Mou non tornerà…

“Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto con una bella sedia blu, una Champions League, Dio, e dopo Dio io”.

Uno degli aforismi più noti di Mou, il mago di Setubal. Ma, manco a dirlo, Mou “non è un pirla” e, dietro questa frase, c’è l’arguta e amabile – per chi lo ama – capacità di ragionare e vendere al meglio se stesso. Insomma, Mou sa benissimo che, continuando a sedere sulla bella sedia blu dello stadio do Dragão, avrebbe corso il rischio di incarnarsi in una delle innumerevoli stelle comete del mondo pallonaro.

Per questo è partito da Oporto, è partito da Milano, partirà a fine stagione (o, al massimo, al termine del prossimo campionato) da Madrid e non tornerà a lavorare ad Appiano Gentile la prossima estate. La più grande dote dello Special One lusitano è senza dubbio il tempismo. E questo non è proprio tempo di tornare a guidare i nerazzurri. E non solo per le imbarazzanti potenzialità dell’attuale gruppo. Più di campioni e stipendi milionari, per ingaggiare Josè sono sempre state necessarie due condizioni: squadre rivali in fase calante nei campionati da affrontare e risultati recenti deludenti della squadra da guidare.

La storia iniziò con la chiamata al Benfica e all’União de Leiria e al Porto, dove prese il posto dell’esonerato Machado e si confrontò con la sostanziale assenza di avversari di un campionato vinto negli ultimi tre anni dallo Sporting e dal Boavista, non proprio il Benfica di Eusebio. Stesso schema al Chelsea, team bramoso di successi e con la strada spianata dal naturale declino di Arsenal e United.

All’Inter le cose furono leggermente diverse ma, in quell’occasione, era Mou ad aver bisogno di una panchina, dopo aver bussato invano alle porte di United e Milan. In quell’estate 2008 i nerazzurri, infatti, erano reduci dal doppio scudetto manciniano e l’ambiente era appagato, sebbene al club mancasse come l’aria una consacrazione europea.

Il passaggio ai Blancos di Madrid è cronaca, o quasi. Mou sbarca in terra iberica pensando che il ciclo dei Blaugrana fosse agli sgoccioli dopo 4 anni di successi (dal 2006 con la Champions vinta da Rijkaard) ma, per la prima volta in carriera, guarda male il cronometro. La stagione di Ronaldinho ed Eto’o, quella del successo in finale contro l’Arsenal, era parte di un altro progetto; i catalani di Guardiola hanno ancora autonomia per un altro anno e dominano in lungo e in largo in Spagna e in Europa. Mou ingoia il rospo e aspetta un altro anno, imponendo finalmente il suo passo anche al Bernabeu e, astri permettendo, anche in Europa.

Per vedere Josè di nuovo sulla panchina del Biscione devono quindi verificarsi due condizioni che, con tutta probabilità, non si verificheranno nell’arco dei prossimi due anni: una campagna acquisti da 50 milioni per inserire linfa vitale e piedi buoni; il binomio Milan-Juve in fase calante. Il Milan ha avviato la scorsa estate un ciclo vincente che proseguirà, tra alti e bassi, ancora per uno o due anni. L’unico modo per invertire la rotta e far ingolosire il tecnico portoghese è un inatteso indebolimento della rosa di Milanello che, oggi come oggi, può avvenire in una sola circostanza: con la cessione di Ibrahimovic o Thiago Silva. Improbabile. E la vecchia volpe, cresciuta alle corti di Robson e Van Gaal, lo sa bene.

Impostazioni privacy