“Siamo in ritardo!” urlo al mio amico mentre sale in macchina con tutta la calma del mondo. “Ma no, stai tranquilla che arriviamo in tempo, non ci sarà in giro nessuno a quest’ora”.
Io, scettica, parto in direzione San Siro e arrivata all’uscita di viale Certosa vedo le mie paure tristemente confermate: c’è una coda infinita che non sembra volersi muovere. “Faccio una strada alternativa” dico tutta contenta al mio amico, “No! Quella dell’altra volta?” “No, no un’altra..è tutta dritta” (cercavo di essere persuasiva e decisa), “Sei consapevole di quello che fai vero?”. Essendo consapevole sterzo e mi addentro nelle strade milanesi, percorro tutta la circonvallazione da piazzale Maciachini, passando per il ponte della Ghisolfa, per finire sul parcheggio sterrato tra Lotto e Zavattari.
“Ma sono già le 17.30′” chiede il mio amico tutto stupito. L’avevo detto io che eravamo in ritardo. Di corsa mi avvolgo la sciarpa intorno al collo e infilo il “Parka” artico, che resiste a temperature polari e che spero resista anche al freddo glaciale di San Siro d’inverno. Fa troppo freddo per camminare, ma soprattutto è troppo tardi, quindi saltiamo sulla navetta e alle sei meno un quarto siamo davanti all’ingresso 3. Niente intoppi ai tornelli, gradoni fatti a quattro a quattro, per poi trovarci senza fiato in cima: “Aspetta, aspetta…devo andare in bagno” con coraggio entro nei bagni delle donne (che in realtà diventano unisex durante le partite), e ne esco il più velocemente possibile.
Prendiamo posto in Curva e io, accaldata e con un principio di asfissia, mi accascio su un seggiolino, lanciando il “Parka” da un lato per pentirmene amaramente subito dopo. Ci siam persi la formazione, in tempo zero inizia il match con il Cagliari e il mio amico tutto convinto esclama a gran voce “Questo è un 3-0 morbido” io faccio tutti gli scongiuri del caso e gli urlo di smetterla di portar male, concentrandomi sulla partita e sui cori. I ragazzi giocano, ma non riescono ad essere incisivi e il pallone sembra non voler entrare in porta. Il Capitano è come sempre immenso, monumentale, unico. Fa brillare gli occhi di tutti noi, ci fa battere il cuore e sembra proprio non sentire i suoi 38 anni.
Sull’azione che ha portato al primo gol mi giro un secondo verso il mio amico per commentare la partita e, senza sapere come, mi sento catapultata in avanti, sommersa da braccia di tifosi urlanti. “Ma abbiamo segnato?…Non ho visto! Chi ha segnato?” e dopo un attimo lo speaker, quasi a volermi rispondere, urla “Ha segnato per noi, con il numero 8, Thiago…” e la Nord risponde a ripetizione “MOTTA!!!”
Cerco di concentrarmi sulla partita per evitare di perdermi altri passaggi fondamentali, ma mi lascio distrarre dai commenti di un aficionado della Curva che urla improperi di ogni genere contro Jonathan, preso di mira a mo’ di “nuovo Biabiany”. Torno a concentrarmi sul match e seguo attentamente il susseguirsi di azioni, ma proprio quando Coutinho si avvicina a grandi falcate alla porta qualcuno fa uno dei soliti commenti, io mi volto e incredibile ma vero, mi perdo anche il momento del secondo gol. Oggi non è la mia giornata. Il mio amico è sempre più convinto del suo pronostico, ma gli avversari segnano a non molto dalla fine chiudendo la partita sul 2-1.
Mentre mi dirigo verso l’auto rifletto sulla squadra. Sembra un’Inter con ancora qualcosa da sistemare, ma soprattutto grazie ai prodigi dell’immancabile capitan Zanetti, la vivacità di Coutinho e l’ingresso di Alvarez, a San Siro abbiamo finalmente visto un pizzico di “Maravilla”.