Presidente, che idea si è fatto sul destino dello stadio?
E invece proprio Milan e Inter pare siano d’accordo sull’idea di traslocare e giocare in un impianto di proprietà dei club…
«Questo è comprensibile ed accade quando ci sono società private di mezzo. È giusto che ci sia la libertà di decidere pensando al proprio business, perché non sempre il cuore prevale sul portafoglio…»
«C’è stato un momento in cui ho tentennato. C’erano dei cinesi pronti a investire per uno stadio tutto nuovo, perché loro erano convinti che in questo modo ci sarebbe stata maggior attrazione anche per un turismo cinese di massa. Ma quella “tentazione” durò l’arco di una mattinata e poi svanì, ai cinesi interessava solo lo stadio. In compenso fu altro ad affascinarmi…».
Ci spieghi…
Ricorda la sua prima volta a San Siro?
«Certo, era il 6 novembre 1949 e avevo quattro anni, il giorno del derby Inter-Milan. Finì 6-5: ero andato lì con mio padre e mio fratello, e da quel giorno sarebbe diventata la nostra consuetudine, visto che in settimana si parlava solo dell’appuntamento della domenica. Di quella partita ricordo la sofferenza e la gioia finale ma pure il freddo… anche se a noi bambini facevano trovare la stanza riscaldata».
Che effetto le faceva quel San Siro visto con gli occhi del bambino?
«Era non bello, ma bellissimo. C’era un solo anello, sembrava quasi di vedersi la partita in campo. Poi il secondo anello lo ha reso più forte, più aggressivo…».
Oggi, invece, è diventato un peso ingombrante… e costosissimo
«Ma io eviterei di mandare le ruspe, lo ripeto. E questo perché anche avere due stadi male non fa… se hai due proprietà, quell’impianto da 60mila posti sarà sempre tutto nuovo e può cambiare faccia più velocemente. E poi devo dire anche economicamente può valerne la pena, si spende di meno. Abbattere i costi non vuol dire dover abbattere San Siro che resta uno stadio magnifico».