Roberto Mancini è nato per comandare, gli riesce e sbaglia pochi colpi e la Gazzetta dello Sport lo mette evidenza.
La favola nasce nell’estate del 1982, nella Sampdoria di Mantovani.
C’è Vialli che è il bomber e poi c’è lui che è un artista, che gestisce lo spogliatoio, che parla con il presidente e suggerisce ed indica la campagna acquisti. Lui è la Sampdoria e la squadra vola.
Poi nel 200 il ritiro e l’approdo è sulla panchina. La prima è quella viola e per non sbagliarsi mette il sigillo della Coppa Italia, poi è costretto ad abbandonare la barca dell’eclettico Cecchi Gori.
Poi è la volta della Lazio e fa capire ai suoi ex tifosi di essere un fenomeno anche in giacca e cravatta. Tiene a galla una squadra travolta dai problemi societari e lascia un segna indelebile.
La prima volta all’Inter, Calciopoli, il fiero Mancini governa e vince il campionato con 17 successi di fila e 5 giornate d’anticipo, ma probabilmente sconfina e passa il segno e Moratti dopo il ko con il Liverpool in Champions lo esonera. Nessuna resa.
Se ne va quando i Citizens prendono un ds e si riprende l’Inter per la seconda volta.
Ma qualcosa si rompe ed i cinesi, dopo una vita passata al timone, vorrebbero limitarlo.
Così non va, così non si può fare.
This post was last modified on 26 Luglio 2016 - 09:59 09:59