Made in China? Moratti ci pensa

In quasi diciassette anni da azionista di maggioranza dell’Inter, raramente si è visto un Moratti così. In linea con le manovre che stanno mettendo a dieta il Belpaese, il presidente nerazzurro ha varato una politica di austerity che sta ridimensionando la rosa e gli obiettivi dei tifosi. Via i big dai contratti pesanti, contratti spalmati per quelli che rimangono, spesa di calciomercato nei minimarket d’Italia, lontano dai grandi bazar. Lontani dall’essere un grande bazar.

La mancata qualificazione alla Champions League taglia ulteriormente introiti già insufficienti, stando ai dettami del Fair Play Finanziario, spada di Damocle che pende su tutte le big europee, ma un po’ più su quelle italiane. Infatti, se Sparta piange, Atene non ride: anche i cugini rossoneri si sono liberati sia di contratti pesanti che degli unici due fuoriclasse che aveva in rosa. L’avvento di Abramovich nel mondo del calcio ha segnato una svolta epocale, per certi versi simile a quella tracciata negli anni ’80 dal Berlusconi che comprava giocatori per mandarli in tribuna, pur di non farli comprare alla concorrenza.

Quasi allo stesso modo, il magnate russo ha inondato di quattrini il mercato del calcio, drogandolo con acquisti per cifre che non si avvicinavano neanche al “fair value”. La vittoria della Champions League (paradossalmente nell’anno di maggiore “stasi”) ha risvegliato l’animo da predatore di Abramovich, che è tornato prepotentemente sul mercato con offerte folli con le quali possono competere solo gli sceicchi di Manchester, Parigi e Malaga.

Perché i grandi acquirenti si tengono lontani dal mercato italiano? La serie A ormai non conserva più neanche quell’alone di fascino che ha sempre esercitato nei confronti di giocatori di tutto il mondo, sudamericani su tutti. Il prodotto che si cerca di esportare ha pochissimo valore commerciale e le questioni eternamente irrisolte dei diritti tv e degli stadi di proprietà tengono a dovuta distanza sceicchi e petrolieri intenzionati a spendere.

Inoltre non si può contare nemmeno sull’aiuto delle istituzioni finanziarie nostrane, a differenza di ciò che accade in Spagna, dove le banche sono ben liete di finanziare società come Barcellona e Real, che producono centinaia di milioni di euro di fatturato all’anno.

L’Inter ha provato ad accrescere l’appeal del proprio brand e qualche frutto inizia a intravedersi. A dispetto della natura latina della rosa, l’Inter è particolarmente amata nell’estremo Oriente, un tripudio di maglie e sciarpe nerazzurre ad ogni tourneè interista. A quanto pare però, l’Inter non ha fatto breccia soltanto nei cuori dei tifosi.

Se Moratti è veramente intenzionato a dare un’iniezione di liquidità alle casse nerazzurre con un azionista di minoranza che lo affianchi, allora è probabile che sia preferito proprio un uomo d’affari da quelle lande. Il nome più caldo (in tempi in cui il calciomercato è fiacco ci si deve accontentare del totopresidente ndr) è quello di Elbegdory Taskhia, presidente della Mongolia, già passato per Milano, da tifoso in visita. Ma non sono da escludere le vie infinite che portano alla Cina, mai stata così vicina all’Inter.

Infatti, l’accordo con la China Railway Construction Corporation per la costruzione del nuovo stadio non è poi così lontano, ma lo è la realizzazione. E’ probabile che prima di allora non vedremo mai l’Inter di Moratti padrona del mercato, per la prima volta ora rimpianta. Nel frattempo bisogna aspettare con pazienza: nài xīn děng dài, come dicono in Cina. E’ meglio farsi trovare pronti, non si sa mai.

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