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SpazioInter’s Stories – Federico Dimarco, tu quoque fili mi!

Impossibile che non l’abbiate studiato a scuola: Cesare (non Prandelli, né Maldini) perde la vita a Roma, quando ancora le sponde del Tevere non si coloravano né di giallorosso né di biancoceleste. Era il 15 marzo del 44 a.C., quando uno dei personaggi più influenti della storia pronunciò le seguenti parole, in punto di morte: “Tu quoque Bruto, fili mi!”, che per coloro che non si sono cimentati con il latino tra i banchi di scuola significa “Proprio tu Bruto, figlio mio!”.

Eh già: non solo era stato ucciso a pugnalate, ma nel gruppo dei congiurati era presente anche Bruto, suo figlio, probabilmente fin troppo assetato di potere. Ma torniamo ai nostri giorni, 2062 anni dopo. È il 15 settembre 2015, e un figlio sta per pugnalare il padre con un sinistro da 35 metri: nessun arma, nessuna congiura, solo il desiderio di farsi vedere.

GIRANDOLA DI PRESTITI

Conosciamolo meglio, questo figliolo. Beh, nonostante non si possa dire molto sulla sua carriera in campo, gli aneddoti possono pur sempre essere trovati; magari non lontano, magari a solo tre ore di macchina. Federico il congiurato nasce a Milano, sulla sponda nerazzurra del Naviglio: calcia il pallone dalla culla e ben presto si ritrova sui campi di Interello, a stringere i denti per, un giorno, provare a raggiungere quella maglia.

Tutto scorre in fretta, tant’è che Federico esordisce sia in Europa League che in campionato ancora prima di iniziare le guide obbligatorie per ottenere la patente. Il paradosso, però, è che sfreccia nonostante non abbia la macchina: la fascia sinistra è la sua corsia d’accelerazione, e se ne accorgono in un battibaleno le compagini affrontate nel Torneo di Viareggio 2015, il primo torneo nella bacheca di casa Dimarco.

La crescita continua passando per le Marche: l’Ascoli si accorge di lui e se lo porta in Serie B, dove Federico si comporta da vero e proprio caleidoscopio; non solo è talmente veloce che viene perso spesso nella marcatura, ma spesso viene impiegato in ruoli diversi, rendendo sempre al massimo delle sue potenzialità. I 4 assist in 15 gare in serie cadetta gli valgono il passaggio all’Empoli: è l’occasione per sfondare, ma fin troppo spesso finisce relegato in panchina. Bisogna ricaricare le pile, magari all’estero.

EMIGRATO MA NON TROPPO

Dicevamo, quelle tre ore di macchina: sono quelle necessarie per percorrere i 245 kilometri che separano la sua Milano dall’ignoto biancorosso, quel Sion che decide di puntare su di lui. È il terzo italiano della storia del club ad aver anche giocato in Serie A, dopo Marco Nicchetti (ex Inter) e un certo Gennaro Gattuso. Ah, non solo: condividerà lo spogliatoio in Svizzera con un altro ex nerazzurro, quel Robert Acquafresca incapace di rispettare le aspettative.

Anche al di là del confine, però, l’ingranaggio non si sblocca: Federico non riesce a sbocciare, forse per la mancanza da casa, forse perché non si integra. L’avventura all’estero, alla fine, dura solo un anno: 3,91 milioni investiti per 9 presenze e 2 assist, non il migliore degli affari.

Il figliol (quasi) prodigo vorrebbe ritornare al proprio nido, ma nell’Inter di Luciano Spalletti non c’è spazio per Federico: su quella fascia comanda Asamoah, eventualmente ricambiato da Dalbert. Dimarco viene parcheggiato alla Pinetina nell’attesa di una chiamata che sembra non arrivare. Poi, un giorno…

BRUTO DIMARCO

Manca una settimana a Ferragosto quando svolta l’estate di Dimarco: D’Aversa lo vuole come alternativa al più esperto Gobbi sulla fascia sinistra. E che fa Federico, dice di no rischiando di passare la stagione senza il pallone tra i piedi? Accetta, stimolato da quella sfida di metà settembre.

La squadra di Luciano Spalletti arrivava da un cammino alla Dante Alighieri: Inferno (e sconfitta) contro la bestia nera Sassuolo, Purgatorio (e pareggio) contro il Torino in casa e Paradiso (e vittoria) con lo 0-3 contro il Bologna. A San Siro, dopo due emiliane arrivava la terza, un Parma capace di ottenere un solo punto nelle prime tre.

I nerazzurri fanno la gara, creano occasioni e rischiano diverse volte di portarsi in vantaggio davanti al proprio pubblico; poi, però, ad inizio ripresa entra il figlio mandato fuori casa, in quell’Erasmus parmense in cui non voleva altro che dimostrare il suo valore. Detto, fatto: al 79’ la sblocca proprio lui, con un bolide dalla distanza su cui Handanovic non può nulla. “Proprio tu Federico, figlio mio!”, sembra urlare l’anima nerazzurra che aleggia sul Meazza. Sì, proprio lui.

Dispiace avere segnato a loro, perché sono interista. L’esultanza è stata la liberazione di questi ultimi anni difficili. Non avrei mai voluto segnare questo primo gol contro la mia squadra del cuore, ma il calcio è anche questo. Mi dispiace per i tifosi che si sono sentiti offesi, ma non è così.

Come descrivere l’interismo, se non con queste parole?

RITORNO A CASA, MA PER QUANTO?

Non si sa se per paura di poter essere colpito al cuore ancora o perché ci abbia creduto realmente, ma Antonio Conte ha voluto lasciare spazio a quel figliolo che ha vagato diversi anni prima di tornare a casa. Non sta trovando molto spazio, ma è riuscito a ritagliarsi qualche minuto, nello 0-3 esterno contro il Torino.

La sensazione è che all’orizzonte ci sia un’altra esperienza lontano da Appiano Gentile (si vociferano interessamenti del Genoa e del Cagliari), ma dopo quel gol da congiurato ci sentiamo di poterlo perdonare. Federico Dimarco, per San Siro sei il Bruto scagionato. E va bene così, finchè siamo entrambi sulla sponda nerazzurra.

This post was last modified on 19 Dicembre 2019 - 18:31

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redazione