Guardarsi allo specchio e farsi un bell’esame di coscienza

Un’Inter irriconoscibile. Questo ci ha consegnato il mese di gennaio e questo primo weekend di febbraio. Com’è logico (purtroppo) che sia, a finire nel mirino è sempre l’allenatore. E’ evidente, però, che Spalletti non è l’unico ad avere colpe. Ad incidere in negativo sono stati anche, e forse soprattutto, i giocatori.

LE RAGIONI DEL CALO DELL’INTER: CALO FISICO O ALTRO?

Parliamoci chiaro: l’Inter è la stessa di due mesi fa. La stessa che era ancora con un piede negli ottavi di finale, impegnata in un testa a testa con il Napoli per il secondo posto e, così sembrava, ormai al sicuro dall’incubo quinto posto ed Europa League. L’eliminazione con il Psv è stato il vero spartiacque per una squadra che, poi, ha convinto solo contro Ancelotti il 26 dicembre. E, anche in quel caso, era esattamente la stessa Inter. Poi, però, sono arrivati altri problemi: la questione rinnovo di Icardi, gestita in modo quantomeno diverso da Marotta rispetto a quanto si faceva in passato, i mal di pancia di Perisic, l’impossibilità di Nainggolan di tornare ad essere uno spaccapartite, i malumori di altri giocatori (Candreva su tutti). Sicuramente c’è stato anche il calo fisico, e le defezioni di Keita (prima di capodanno finalmente inserito nel mondo nerazzurro) e Politano consegnano meno variabilità nel 4-2-3-1 di Spalletti.

Ma a fare la differenza, inutile girarci intorno, è stata la testa. I nerazzurri sono l’unica squadra che in Serie A, dopo aver subito il primo gol, non recupera: 0 punti conquistati da situazione di svantaggio. Una squadra accettabile se le cose vanno bene, in bambola se si mettono subito male. I giocatori chiave sono venuti a mancare: su tutti Ivan Perisic, che non ha mai fatto mistero di volere la Premier, e Nainggolan, ma anche Vecino ha esaurito l’effetto “la prende”, mentre Candreva continua sulla falsissima riga dello scorso anno e Gagliardini si nasconde quando il gioco si fa anche solo a difficoltà “normale”. Persone che non fanno il loro dovere con passione, ma solo perché viene imposto per contratto. E allora, trattandovi da dipendenti e non da gente che ama la maglia e che ha la fortuna di avere successo nella passione di milioni di tifosi italiani ed interisti, una domanda è più che lecita.

Può starvi antipatico il datore di lavoro, il caposquadra o un compagno di reparto, ma voi davvero vi sentite di poter andare davanti allo specchio prima di andare a dormire e dopo una partita e dire “Oggi ho fatto il mio”? Al momento, nessuno può dare risposta affermativa. Chi voleva andare via, chi fa casino fuori dal campo, chi batte cassa, chi, seppur impegnandosi, non raggiunge livelli accettabili. Questa non è l’Inter. 60mila spettatori si attendono in campo gente che sputa sangue per la squadra e, al momento, non lo fa nessuno. E non bastano le solite parole: “Purtroppo non è andata bene, ci riproveremo la prossima”. Fatti, non parole.

Qui, però, toccherebbe al capitano della nave. A quel Luciano Spalletti che, però, sembra metterci del suo in questo momento non facile. Dal punto di vista dello spogliatoio e umano, il tecnico non è ancora riuscito ad ottenere un cambiamento dal punto di vista mentale. E probabilmente questa è la cosa più grave. Perché se i giocatori non capiscono, con le buone o con le cattive, di dover dare molto, ma molto di più, non si va da nessuna parte. Parzialissimo alibi la mancanza di giocatori chiave come Politano e Keita, ma Ranocchia in attacco, per quanto sia stato il più volenteroso e pericoloso, denota mancanza di idee, come dimostrano i quasi 300 minuti in campionato senza reti. E se a Parma dovesse andare male, allora l’Inter potrebbe davvero trovarsi, dalla prossima settimana, con un altro timoniere. E allora non ci saranno più scuse, per nessuno.

Impostazioni privacy