Cordoba: “Manca del tempo per tornare l’Inter del Triplete. Icardi, responsabilità importante”

L’ex difensore colombiano Cordoba ripercorre la sua vita in nerazzurro, dai brutti momenti a quelli belli.

 

“IL CALCIO COME PASSIONE E STILE DI VITA”

Intervenuto nel corso dell’Overtime Festival, Ivan Ramiro Cordoba ha ripercorso la sua lunga carriera con la maglia dell’Inter, dall’arrivo a Milano nel gennaio 2000 passando per i tanti trionfi: “Il calcio è stato un modo di dimostrare tante cose. Trasmettere tutti quei sentimenti che vivi da piccolo è qualcosa di unico. Ad un certo punto quando vedevo che raggiungevo un obiettivo, ne avevo un altro e dicevo che io ci credo e posso raggiungerlo. Ma ancora più bello è che posso trasmettere questo mio sentimento. Credo sia la voglia di lottare prima di tutto per obiettivi sportivi. Questo pensiero purtroppo ora si sta dimenticando, pensando prima agli obiettivi economici. Ora i giovani non capiscono magari che si parte da questa passione da piccoli e da piccoli i soldi non esistono. Ora questo mondo si sta rovinando da persone che non permettono più di “sognare”“.

L’ARRIVO IN ITALIA PER IVAN RAMIRO

Quando mi hanno detto che mi voleva l’Inter non ci ho capito più niente e ho detto “Vado lì e basta”. Quindi il mio pensiero era solo l’Inter. Ero con mia moglie in Argentina, era incinta, ho detto va bene, ma avevamo un po paura. Abbiamo detto “Dobbiamo cambiare Paese, là fa un freddo incredibile”, arriviamo e c’è un particolare che racconto nel libro. Non ci aspettava nessuno all’aeroporto (ride, ndr). Arriviamo in un albergo a caso, ci chiama l’Inter, “Ma cosa fate lì? Non ci andate. Adesso vi mando una macchina”. Per me non esisteva nessuno ostacolo. Arrivare all’Inter era un sogno ad occhi aperti. Non c’è cibo colombiano? Mi arrangio! Io pensavo alla squadra, devo andare ad allenarmi con Ronaldo, Vieri, Zanetti, Peruzzi. Per me esisteva solo questo. Però ovviamente abbiamo avuto difficoltà. Mia moglie non era abituata al cibo italiano e non stava bene. Il primo giorno che dovevo andare ad allenarmi, esco il mattino ed era notte. Torno a casa alle 3-4, entro in albergo e dico a mia moglie: “Andiamo a fare passeggiata in Duomo”, siamo usciti, era tutto buio e non vedevamo niente dalla nebbia e ci siamo spaventati. Così siamo tornati indietro e rimasti in albergo“.

IL FENOMENO: RONALDO

Simpaticissimo, ci faceva morire dal ridere. In allenamento faceva cose che ci faceva cascare per terra, era molto simpatico. Ronaldo è un buono, purtroppo ha avuto tante difficoltà, succede nel calcio. Ronaldo era pura potenza, spesso non ha potuto esprimere quello che è lui. C’erano allenamenti che noi non vedevamo l’ora di farli per vedere cosa si inventava lui. Quando entrava in partita non faceva quelle cose che faceva in allenamento perché aveva paura che gli facessero male dopo l’infortunio. Lui in allenamento faceva sparire la palla, era incredibile. Avesse avuto qualche anno in più di carriera con le ginocchia ok sarebbe stato il migliore di tutti i tempi“.

NEL RICORDO DI QUEL VALENCIA – INTER

Quello è un episodio di cui diciamo mi vergogno. Ho dimostrato di essere veloce, ma di non calciare bene. Ho sempre detto di essere un calciatore fisico ma non tecnico. Facevo bene il mio lavoro, io sono credente e credo che Dio mi ha dato una mano. Se io avessi atterrato quel calciatore con quel calcio, per dieci anni non avremmo giocato la Champions magari, e quindi neanche vinto nel 2010. Mi è scattato un momento di nervosismo, come un bambino che deve difendere un amico del gruppo. Sono stato ingenuo. Non sono fiero di quello che ho fatto, si fa da bambini, però ormai è andato. L’altro giorno mi sono trovato con Marchena, che stava litigando con Burdisso, e sai quanto abbiamo riso? Abbiamo fatto una partita per la fondazione di Figo e insieme abbiamo fatto una bella partita. Questo è il calcio“.

LO STORICO TRIPLETE

TRIPLETE – “Dopo il pari contro la Fiorentina Mou era abbastanza nervoso. Momento difficile, era tutto in discussione. Il mister faceva queste grandi frasi, ti metteva una responsabilità pazzesca addosso. In una squadra forte, quando vuole vincere e fare la storia, succede questo: i giocatori si devono trovare tra di loro e dire, lo facciamo o non lo facciamo. Lì c’è stato un confronto così duro e bello che quando il mister ha finito di parlare, sapeva che ci aveva lasciato qualcosa di grande dentro. Ci siamo detti, siamo a 15 giorni dalla storia e non possiamo buttarlo via, lasciamo stare tutto e vinciamo per noi e per la gente che ci segue. Facciamo la storia. Noi eravamo in tanti a fine carriera, poi così è stato. Noi pensavamo che la Roma non era abituata a vincere e poteva perdere punti, noi invece dovevamo fare la storia e così è stato“.

IL DOLOROSO ADDIO NEL CALCIO GIOCATO

Difficile dire basta? Sì. Una cosa che mi è costata tanto digerire è stato il mio infortunio al ginocchio. Noi giocatori ci sentiamo indistruttibili per come ti fanno sentire, tutto quello che si crea, ti fanno sentire diversa. C’è chi la prende in un modo e chi in un altro. Questa cosa mi caricava, ma dopo l’infortunio ho pensato: questa cosa sarà un’esperienza nuova e mi farà capire cosa significa subire un infortunio e fare le cure mentre gli altri si allenano. Però dopo quando cominci a rientrare è dura perché non ti senti te stesso. Il mio ginocchio è stato compromesso abbastanza. Il dottore mi aveva avvisato che poi avrei avuto problemi. Dopo un altro intervento al menisco mi dava fastidio. Il presidente era pronto a farmi altri due anni di contratto, ho fatto una visita e mi dissero che con un altro intervento avrei potuto andare avanti, ma a 35 quasi 36 anni il mio ginocchio mi aveva dato tantissimo, ho detto no. A me l’Inter ha già dato tanto, non voglio mettere a rischio quello che ho fatto per l’Inter e non giocando come facevo un tempo non ero Ivan Cordoba, così ho detto stop. Ora mi rendo conto di aver fatto la scelta giusta nel momento giusto“.

L’INTER DI OGGI

Cosa manca ora rispetto al Triplete? Sicuramente tante cose che non si possono cambiare da un giorno all’altro. Noi arrivavamo da un percorso lungo, poi dopo sette anni che non vincevamo avevamo una carica così forte per cercare di vincere che ci ha portato a far capire anche a ogni calciatore che arrivava cosa si aspettava la gente. Dopo Mancini la squadra per me era già pronta per vincere quello che abbiamo vinto, ma non da un giorno all’altro. Ci vuole tanta esperienza e anche una società che ti faccia capire quanto è importante lottare e vincere anche per la gente.”

SUPER MARIO BALOTELLI

Gli abbiamo dovuto far capire come ci si comporta con le buone e con le cattive (ride). Mario è un buono. Quando lui è faccia a faccia, è un bambino, un ragazzo per bene, come un amico, ma è nell’ambiente è diventato una vera Star. Non voglio giudicarlo, ma Mario ha avuto tantissime possibilità, magari le avessero avute altri, ma Mario è così e non sarà mai il grandissimo calciatore che si pensava. Non è e non diventerà un grandissimo campione. Però è simpatico, faceva un sacco di scherzi e ha delle doti che se voleva poteva diventare come Ibrahimovic“.

MORATTI E ZANETTI

Moratti? Un padre per noi. Anzi, ho detto che è come una mamma perché a volte il padre non sa tutto quello che succede in casa, è la madre che informa. Il presidente era questo perché sapeva tutto. Lui sapeva davvero tutto, però era capace di riprenderti anche duramente, io personalmente ho avuto una tirata di orecchie bella grossa. Ogni volta ce lo ricordiamo e ridiamo perché lui si scusa, ma è normale in quel momento, dopo l’eliminazione in Champions con lo United. Questo è Moratti, così sensibile, con una passione enorme per il calcio, nessuno può capirlo senza averlo conosciuto di persona. Quando ci parli anche solo due minuti te ne rendi conto. Zanetti? Un amico, un fratello, un modello per me. L’ho sempre seguito, ho sempre voluto fare tutto quello che faceva lui e forse per questo mi sono infortunato. Lui aveva queste grandissime gambe, io piccolino. È una persona su cui si può costruire qualcosa di importante“.

RIMPINATI DI UNA CARRIERA VINCENTE

Una partita che avrei voluto giocare? La finale di Champions ovviamente. Sapevo che sarebbe stato difficile giocare perché mi ero fatto male in finale di Coppa Italia. Facevo 3 allenamenti al giorno per rientrare. Ho avuto situazioni difficili con Mou e ci siamo confrontanti da uomini faccia a faccia, il giorno dopo l’infortunio stavo pensando a come recuperare in ogni modo e mi ha detto di non preoccuparmi, per me sei tu il primo convocato. Almeno in panchina sei sicuro, poi vediamo. Tu meriti questo più di altri e per me vai tranquillo, non strafare che poi magari è peggio, allenati e sarai con me lì in panchina“.

MAURO ICARDI CAPITANO

Icardi personalità da capitano? Me lo auguro, perché lui ha una responsabilità addosso molto importante che è la fascia. È giovane, torno al discorso di prima. Penso che fare il calciatore è facile, nel senso che devi concentrarti a giocare e divertirti e fare quello che hai sempre fatto per poi essere giudicato. Ma noi dobbiamo essere giudicati per quello e quando dimentichiamo che la cosa più importante è quella che facciamo in campo, sbagliamo. Quando il calciatore è più concentrato a fare il suo mestiere, secondo me la squadra lo vede e ne assimila il lavoro.”

CALCIOPOLI E IL 5 MAGGIO

5 maggio? Ormai l’abbiamo dimenticato (ride). Ho un problema in testa, una parte mi dice parla e una parte no. Va rinfrescata un po’ la memoria. Non che noi non abbiamo vinto per questo, però sono successi degli episodi… e non sona qua a dire che la Juve questo, il Milan quello e la Roma quell’altro, ma sono dei fatti. C’era Udinese-Juve… va beh, Udinese e un’altra squadra. Quando senti un compagno che dopo quella partita viene da te, un mio compagno di nazionale, che dice che senza nessun motivo quattro titolari sono stati mandati in tribuna… Allora, noi non abbiamo vinto perché non abbiamo avuto tutta quella carica che dovevamo avere per vincere perché era nelle nostre mani. Però se non ci fossero stati tanti altri episodi, secondo me sarebbe stata un’altra storia. Non voglio parlarne, poi va a finire che sembra sia stata l’Inter che ha scatenato una cosa così clamorosa e colpevole di una tragedia nel calcio italiano. Quello che è successo in quegli anni deve essere una vergogna del calcio italiano, punto. Fare quello che hanno fatto quelle persone che gestivano il calcio italiano. Sapere che vai a vedere una partita e altri sanno già come va a finire, fa passare la voglia di calcio. Non bisogna dimenticarlo perché altrimenti si torna a fare le stesse cose. Bisogna ricordarle e parlarne perché non esiste che poi si fa finta che non è esistito, è esistito eccome“.

Fonte foto copertina: screen

Impostazioni privacy