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Pellegrini: “Thohir è l’ideale per riportare l’Inter al vertice. Che rimpianto la Coppa Uefa del 1985”

Trent’anni esatti fa il nuovo presidente dell’Inter diventava lui, Ernesto Pellegrini, emozionato e felice in un indimenticabile lunedì del 1984. «Con Fraizzoli avevo firmato il passaggio delle azioni in gennaio, ma il primo giorno ufficiale alla guida della mia squadra del cuore fu proprio il 12 marzo. Ho sempre negli occhi quel pomeriggio al “Club degli Amici” in zona Brera, con il pianto di Fraizzoli, galantuomo con valori antichi cui sarò sempre riconoscente e la carezza di benvenuto dell’avvocato Prisco. Incominciava una grande avventura, di cui ricordo tutto, gioie e dolori».

Ripartiamo dalle gioie…

«Il mio primo acquisto Rummenigge, lo scudetto dei record del 1989 con Trapattoni, le due coppe Uefa quando la coppa Uefa contava».
I dolori, invece…

«Non ho mai digerito la rabbia per aver perso quella che sarebbe stata la mia prima coppa Uefa, nel 1985. In semifinale avevamo battuto 2-0 il Real Madrid a San Siro. Al ritorno vinsero gli spagnoli 3-0, ma sull’1-0 una biglia colpì alla testa Bergomi. L’errore fu quello di non portarlo subito in ospedale. In più ci fu la sfortunata coincidenza di un’intervista di Mazzola, senza alcuna colpa sia ben chiaro, in cui dieci giorni prima aveva confessato che la famosa lattina finita sulla testa di Boninsegna, nel 1971 in Germania, era vuota e non piena. I giudici devono aver pensato ai soliti italiani furbi e così il nostro ricorso fu respinto. Peccato, perché se ci avessero dato partita vinta, in finale avremmo potuto vincere noi al posto del Real Madrid, visto che gli avversari erano gli ungheresi del Videoton…».

C’è qualcosa che non rifarebbe?

«Dopo trent’anni posso ammettere, per la prima volta, di avere sbagliato a esonerare Bagnoli, una persona per bene e un grande allenatore, il migliore che ho avuto insieme con Trapattoni».

Trent’anni fa che cosa avrebbe risposto se le avessero detto che, dopo Moratti, sarebbe arrivato un presidente indonesiano?

«Questa è proprio bella. Non ci avrei mai creduto ma il calcio, come il mondo, è cambiato non so se in meglio o in peggio. D’altra parte Moratti ha sempre parlato di internazionalizzazione della società. E poi stavolta non c’erano alternative, almeno così ha detto lui».

L’estate scorsa lei ci disse testualmente “mi addolora vedere la mia squadra del cuore nelle mani di uno straniero”. La pensa ancora così?

«Ammetto di avere cambiato idea, dopo aver conosciuto Thohir. E’ stato lui a volermi incontrare, poche ore dopo essere diventato presidente a metà novembre, contattandomi attraverso un suo collaboratore a San Siro, quando avevo Fassone alla mia sinistra, la sera in cui ero andato a vedere Italia-Germania».

Quando gli ha parlato la prima volta?

«L’ho invitato a casa mia a pranzo, prima del derby. Avevo invitato anche Moratti, ma era in America e al suo posto venne il figlio Angelomario. C’erano 35 amici interisti e Thohir ha fatto a tutti un’ottima impressione. Alla fine era soddisfatto, mi disse che sarebbe tornato con la famiglia perché aveva mangiato bene».

Poi non lo ha più rivisto?

«Ci siamo ritrovati una seconda volta in tre, al ristorante Bulgari, io lui e mio genero Alessandro Ermolli, che ha sposato mia figlia Valentina, e mi ha aiutato con l’inglese perché io lo parlo poco. In quella occasione, in cui tra l’altro mi aveva anticipato l’acquisto di Hernanes, ho conosciuto più a fondo Thohir, che è anche simpatico. Mi è sembrato un uomo semplice, disponibile, equilibrato, attento al bilancio, pieno di voglia di fare, ma non un “bauscia” come diciamo a Milano, non un venditore di fumo cioè».

Visti i buoni rapporti, può diventare un suo consigliere?

«Non mi permetto di dare consigli a nessuno, perché io sono sempre stato discreto e non so nemmeno se lui me li chiederà, anche se potrebbe essere mio figlio visto che ha 43 anni, la stessa età che avevo io quando diventai presidente, con il mio stesso entusiasmo di allora».

Avete altri appuntamenti per il futuro?

«Siamo d’accordo di rivederci con le nostre famiglie. Anche se l’amicizia è una parola forte, lo sento come un amico e mi ha colpito il rispetto che ha dimostrato nei miei confronti l’ultima volta che mi ha visto a San Siro. Si è alzato dal suo posto, vicino a Moratti, per venire ad abbracciarmi, come non aveva mai fatto nessuno».

Thohir è l’uomo giusto per rifare una grande Inter?

«Penso di sì, perché le premesse sono incoraggianti. Ha preso subito un campione come Hernanes e mi sembra intenzionato a fare altri acquisti. Nel giro di due o tre anni, come ha detto lui, l’Inter può tornare a vincere, in fondo meno di quanto ci ha messo con me. La base c’è già e non manca molto. Vidic è un rinforzo per la difesa, Palacio è un fuoriclasse e poi è rimasto Guarin, altro grande giocatore che mi sembra una via di mezzo tra Berti e Matthaeus».

Mazzarri è l’uomo giusto per una nuova grande Inter?

«A me piace molto, è uno tosto, un grande lavoratore, mi sento di escludere che vada via. Con Thohir non abbiamo mai parlato di lui, ma per quel poco che lo conosco sono convinto che non abbia dubbi su Mazzarri».

Mazzarri ripete che l’Inter non è stata fortunata con gli arbitri, è d’accordo?

«Oggi sono convinto che gli arbitri siano in assoluta buona fede, mentre non sono sicuro che ai miei tempi lo siano stati tutti».

Senza dare consigli a Thohir, quale Inter sogna per il futuro?

«L’auspicio è quello di vedere una squadra più italiana, che valorizzi qualche ragazzo del settore giovanile, ricordando che ai miei tempi c’erano Zenga, Bergomi, Ferri, Baresi. E poi auguro a Thohir che non gli succeda quello che è capitato a me con un campione che ci siamo lasciati scappare».

A chi si riferisce?

«A Beppe Signori, cresciuto nel settore giovanile dell’Inter. Mi dissero che non avrebbe avuto futuro, convincendomi a cederlo al Leffe. Peccato, perché se fosse rimasto sarebbe diventato grande con noi».

Chiudiamo con Zanetti: l’anno prossimo lo vede in campo o dietro una scrivania?

«Lo vedo più come dirigente e in quel ruolo può essere molto utile sia a Thohir sia a Mazzarri. Mentre dicevo che Guarin mi sembra una via di mezzo tra Berti e Matthaeus, Zanetti mi ricorda Facchetti al cento per cento. E questo è il miglior complimento perché Facchetti era Facchetti».

 

 

Fonte: Gazzetta dello Sport

This post was last modified on 12 Marzo 2014 - 20:29

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redazione