SpazioInter’s Stories – Il Generale dei record: Giovanni Trapattoni

Il Generale Trap ha anima milanista e curriculum vincente in bianconero. Ma per entrare nell’Olimpo delle leggende deve vincere anche con l’Inter. Il matrimonio perfetto arriva dopo un decennio di Juventus, dopo che Nereo Rocco l’aveva ispirato e guidato in un Milan formato Coppa Campioni e che si affida al tecnico di Cusano Milanino nei panni di vice di Giagnoni prima e poi dopo le dimissioni di quest’ultimo e con Rocco direttore tecnico ecco l’esordio da allenatore.

Il Milan era la sua vita, mai avrebbe immaginato di far carriera altrove, invece Trapattoni viene sostituito da Marchioro e il suo ruolo in rossonero non ha una definizione certa.

Giovanni – lo chiamò il suo amico Angelo Caroli de “La Stampa” di Torino – non rispondere al telefono per una settimana, mi faccio vivo io con una novità“.

La novità si chiamava Juventus, un colpo al cuore dei rossoneri e un decennio colmo di vittorie.

Ma per essere una leggenda serve ben altro

In Trapattoni nasce l’ambizione che solo i grandi hanno. “Se sei davvero un grande allenatore, allora devi vincere con la Roma, con l’Inter, col Verona o all’estero“. In più la moglie Paola voleva fortissimamente Milano e nell’allenatore bianconero questa insistenza costava molta tristezza.

Ernesto Pellegrini era il proprietario della società che gestiva l’albergo di Villar Perosa dove la Juve andava in ritiro ed era anche il presidente dell’Inter, uno che aveva appena acquistato Karl Heinz Rummenigge, granatiere tedesco.

Chiese al Trap un incontro a quattr’occhi, di quelli possibili solo tanto tempo fa.

Siamo alla ricerca di un allenatore caro Trap – sentenziò Pellegrini – Ha già ricevuto qualche offerta?“. Gli occhi celesti dell’allenatore si illuminarono, ma con fermezza rispose: “Presidente, se lei mi dice così è perché sa che voglio cambiare aria, non ho deciso, ma come lei mi sta facendo una proposta altri me l’hanno già fatta“.

L’idea di Pellegrini è che la discreta rosa dell’Inter con Trapattoni può far il salto di qualità. Si stringono la mano in un patto che non contempla né ingaggio, né garanzia né dettagli, l’unica certezza era il nuovo matrimonio.

Poi un giorno squilla il telefono di casa Trapattoni, l’allenatore pensa sia La Gazzetta, invece Paola sussurra altro: “E’ Silvio Berlusconi!”.

Trap senti un po’ – tono confidenziale che spiazzò Giovanni visto che era la prima volta al telefono col presidente rossonero – Ho preso il Milan e mi chiedevo se tu…dai…dopo vent’anni di Milan, ci incontriamo domani?“.

Porca miseria presidente – la replica – ho appena stretto la mano a Pellegrini e per me stringere la mano è come firmare un contratto“.

La risposta di Berlusconi fu stizzita: “Ma no, cazzo, ma no! Ma come fai ad andare lì dopo vent’anni di Milan e dieci di Juve, devi ripensarci, stai facendo una cazzata“.

Il Trap non fu mai così deciso, aveva in ballo la scaramanzia. Nato il 17 di marzo come pure suo figlio, alla Juve vinse lo scudetto numero 17 e l’Inter era ferma a 12, con ultimo tricolore targato Bersellini, 1980.

L’Inter dipendeva da Rummenigge-Altobelli ma i due spesso si pestavano i piedi e i giornali ritenevano il Trap o troppo milanista o troppo juventino.  Così mise in guardia subito Pellegrini che l’unica parola da ascoltare era quella dell’allenatore e non dei giornalisti.

La prima sessione di mercato porta Gianfranco Matteoli in nerazzurro, leader tra Como e Sampdoria, poi Passarella campione del mondo nel 1978, oltre a Piraccini e Garlini.

Tanto nello spogliatoio dipendeva da Altobelli che si scontrò più volte col Trap, prima di consumare l’addio e l’avventura nella Juventus. Rummenigge invece era croce e delizia. Un carro armato sempre acciaccato. Segnava ma s’infortunava, finché alla vigilia di un derby giocando con la Primavera si rompe il tendine d’Achille, con conseguente saluto al calcio giocato.

Nella seconda stagione trapattoniana, dopo un terzo posto e tante partite decise da appena un gol le tante voci sulle cessioni di Altobelli e Zenga furono messe a tacere. A Milano arriva il talento silenzioso di Vincenzo Scifo e il giramondo (Milan, Juve, Torino) Aldo Serena.

Scifo ha incantato agli Europei del 1984 ma in nerazzurro non lega, parla poco e si pesta i piedi con Matteoli.

E’ un’annata sottotono e opaca, così il Trap si rigenera, affronta Pellegrini e gli chiede uno sforzo economico per rendere grande l’Inter.

Trap e l’Inter dei Record

Il nome numero uno sulla lista degli acquisti è un tedesco in scadenza di contratto, stella del Bayern Monaco, si chiama Lothar Matthaus.

Osservando Matthaus in Germania il Trap resta colpito da un biondino tutto dinamismo che gioca da mediano, da mezz’ala e da terzino, si chiama Andreas Brehme e anche lui è colonna del Bayern.

Non solo Germania, il Trap mette gli occhi anche su Nicola Berti estroso giovane della Fiorentina e Alessandro Bianchi del Cesena.

Trapattoni non usa intermediari per nessuno dei suoi desideri. Convince in prima persona Berti a preferire l’Inter al Napoli con cui aveva già un mezzo accordo, poi gita in Germania per parlare con la moglie di Matthaus e decantare la città di Milano come capitale della moda.

Soddisfatto il Trap rientra a Milano, ma Pellegrini lo ammonisce: “Matthaus ha rinnovato col Bayern” e la vecchia volpe di Cusano Milanino risponde: “Ce lo vogliono far pagare a peso d’oro, fanno i furbi“.

Andò proprio così, strapagato Matthaus venne preso anche Brehme, un passaggio che in Germania definirono “Prendi due al prezzo di uno” ma che in realtà era un doppio acquisto voluto dalle rispettive consorti.

La Serie A 1988/89 apriva ai tre stranieri e il prescelto per ultimare il mercato fu Rabah Madjer, uno che aveva deciso con un gol di tacco la finale di Coppa Campioni 1987 contro il Bayern. Accolse personalmente Trapattoni in Egitto per una partita della nazionale algerina. Lo accolse con una borsa del ghiaccio sul bicipite femorale appena strappato.

Altro accordo con il Trap ma i dubbi sulla condizione fisica. Presentato a stampa e tifosi l’algerino fa le visite mediche in cui il dottor Cipolla, medico sociale della squadra, fa notare al tecnico che uno strappo muscolare così non si era mai visto. Il bicipite femorale era diventato sottilissimo, un filo di cotone quando di solito ha una grandezza di tre, quattro centimetri.

Trapattoni ne parla con Pellegrini e siccome il contratto non è ancora firmato per Madjer arriva il trasloco al Valencia, club in cui alla seconda partita si ruppe e non giocò più.

L’alternativa a Madjer fu Ramon Diaz, gregario tra Napoli, Avellino e Fiorentina ma partner perfetto per Aldo Serena.

La nuova Inter del Trap fu così disegnata: “Zenga tra i pali, Bergomi, Ferri e Mandorlini in difesa, Brehme terzino sinistro/ala, Matteoli, Berti e Matthaus a centrocampo, Bianchi ala destra e la coppia d’attaccanti Diaz-Serena”.

Inter spaventosa, come voleva il Trap, ma anche fumantina. All’inizio Zenga e Matthaus non si sopportano. Il loro ego, il credersi migliori di tutti è benzina che solo Trapattoni sa spegnere. Chiude un occhio sulle gite svizzere del tedesco invaghito di una nuova fiamma, ma al contrario dei teutonici cuor di legno Matthaus era molto sensibile.

Trapattoni lo coccolava e Lothar sentendosi così apprezzato dava il massimo. Ma il Trap lo fece anche piangere. Accadde quando dopo le urla in campo seguirono altrettanti cazziatoni nello spogliatoio finché il numero 10 iniziò a balbettare e in lacrime gettò la maglia in terra dicendo di non voler giocare più. Anche il generale Trap rimase di stucco.

Così aumentarono lodi e coccole e Matthaus diventò il numero uno. Trap però aveva anche altre gatte da pelare, tipo gli scapoloni Berti e Serena che con tanto di agente in borghese che li seguiva avevano dato all’allenatore il dossier di giocatori ingestibili fuori dal campo. Ramanzina, coccole e poi promesse da ventenni mai mantenute (fuori dal campo). Il tutto con la generazione d’oro di Bergomi, Ferri e Mandorlini.

Loro davano l’esempio per equilibrare una banda di pazzi che iniziò a martellare la Serie A e vinse lo “Scudetto dei Record“.

Vincere un campionato all’Inter fu come vincerne 10 alla Juve, gioia ed euforia diedero al Trap un capitolo da leggenda e la successiva annata la squadra restò immutata, col solo cambio di Klinsmann per Diaz.

Il campionato però non fu vincente come quello dell’anno prima e il Trap dovette anche subire l’atroce dolore di apprendere da Sandro Ciotti a La Domenica Sportiva della morte di Gaetano Scirea, il miglior giocatore del decennio bianconero.

L’Inter vinse però la Supercoppa Italiana e nel 1990 i tre tedeschi ritornarono in Italia ebbri di gioia dopo il trionfo Mundial.

Matthaus Pallone d’Oro, Brehme in gol nell’1-0 della Germania sull’Argentina, Trapattoni aveva tanti tesori a disposizione ma il campionato dopo un bellissimo testa a testa con la Samp andò a Genova dove Vialli e Mancini scrissero un capolavoro italiano.

L’Inter però fu corazzata in Europa. Una Coppa Uefa nata da mille rimonte, prima col Rapid Vienna  ai supplementari, poi ribaltando uno 0-2 rimediato al Villa Park contro L’Aston in un clamoroso 3-0 nel tripudio di San Siro, grazie anche al discorso di Matthaus negli spogliatoi nella gara di ritorno dove più o meno disse “Loro finto 2-0, noi ora gli facciamo un c…così e finciamo 3-0“.

Proprio quel capolavoro con l’Aston Villa però creò nel Trap l’idea di essere stanco e così a Pellegrini anticipò l’addio a fine stagione, ma il presidente temporeggiò ad ogni incontro successivo pur assecondando le volontà del mister.

Trapattoni fu vicino alla Sampdoria che ironia del destino vinse, come detto, lo scudetto, poi da Torino arriva la chiamata di Agnelli per un ritorno alla Juventus e così avvenne a fine stagione, addirittura con uno “scambio” gratis con Dino Baggio promettente centrocampista, che tra le righe mai fu confermato nell’affare Trap ma che in tanti sospettarono.

L’avventura nerazzurra però ha un lieto fine per il generale Trap. C’è da vincere una Coppa Uefa e la Roma era l’ultimo ostacolo.

L’Inter non vinceva una coppa europea dal 1965, Trapattoni mise in difficoltà la Roma con un 2-0 firmato Matthaus-Berti a San Siro, ma memore della rimonta subita nel 1988 dal Bayern Monaco affrontò il ritorno con stile trapattoniano, Klinsmann unica punta e Pizzi a supporto, 0-0 fino all’80’ quando Rizzitelli spaventò i nerazzurri.

Fu solo uno spavento, la Coppa Uefa venne sollevata da Bergomi e Trapattoni lascio l’Inter e i cuori nerazzurri da vincente, anzi, da leggenda.

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