SpazioInter’s Stories – Walter Zenga, il Deltaplano nerazzurro

Quando l’infanzia non aveva iphone e tablet esistevano poche cose in grado di catturare l’attenzione dei bimbi: le figurine e Novantesimo Minuto. La poesia nerazzurra si componeva con “Zenga, Bergomi, Ferri…” ed era uguale anche in chiave Nazionale.

Tutto iniziava con Walter Zenga, l’Uomo Ragno o come lo definì Gianni Brera “Il Deltaplano“.

Zenga tra gli anni 80 e 90 faceva ciò che ogni interista sognava: difendere i colori nerazzurri.

E lo faceva in maniera leggendaria.

Arrivare all’Inter non fu semplicissimo per il giovane Walter che da piccolo seguiva i nerazzurri in Curva Nord. Nato il 28 aprile 1960 vede nel portiere il ruolo del supereroe e lo fa tramite il padre Alfonso, estremo difensore dell’A.C. Muggiò nel 1945/46. Quel ruolo piace tanto ad un bimbo sfrontato che inizia a giocare a 9 anni nella Macallesi 1927, inserito poi nei Pulcini dell’Inter nel 1971.

Sfrontato e coraggioso, ma anche sensibile, in lacrime dopo l’avventura con la Salernitana e una partita che, dopo due gol presi in maniera discutibile, viene lasciata da Walter nonostante gli incitamenti dei tifosi.

Dal 1978 al 1982 parte da Salerno e indossa le maglie di Savona e Sambenedettese (quando la lascia un certo Stefano Tacconi) scalando le categorie inferiori alla Serie A.

Tra le regole di coach Zenga c’è quella del “Crederci, crederci, crederci” e lui ci crede, il suo carattere istrionico lo rende unico e quando l’Inter sta per riprendere Tacconi ci ripensa e affida a Walter il ruolo di secondo portiere, debuttando in Coppa Italia nel 1982.

Tacconi va alla Juve e nasce un dualismo magico, fatto da due caratteri particolari e divertenti, una gara a chi la spara più grossa, spesso con entrambi d’accordo per punzecchiarsi a vicenda e far parlare i giornali.

Da quell’esordio in Coppa Italia nascono le prime di 473 presenze, record per un estremo difensore nerazzurro con l’innovazione di un ruolo dove alla staticità di Dasaev (il migliore ai tempi) contrappone lo “stile Zenga“, con voli plastici, morbidi e ad effetto che consentono a Walter il premio “Portiere dell’Anno IFFHS” per tre volte consecutive, dal 1989 al 1991.

Carisma e temperamento ne decretavano una padronanza anche nello spogliatoio nerazzurro. Zenga è così, dice immediatamente quello che pensa e questo spesso gli creerà grossi problemi.

Col Trap all’inizio non lega, va vicino all’addio al nerazzurro, ma l’amore prevale su tutto e inizia la stagione 1988-89, quella dei tedeschi, dei 22 gol di Aldo Serena e di…Walter Zenga.

Contro il Napoli al San Paolo Maradona e i suoi sbattono su un muro, finisce 0-0 e il Pibe de Oro sbotta: “Siamo superiori, ma loro hanno Zenga e con uno così non si riesce a far gol“.

Il resto è storia, la cavalcata dei Record e la liberazione del 28 maggio 1989. Quattro giorni prima Franco Baresi ha sollevato al cielo la Coppa dei Campioni per il Milan e ai nerazzurri serve la vittoria contro il Napoli.

Careca illude i partenopei poi gli ospiti sbattono su Zenga, mentre Berti prima e Lothar Matthaus dopo, ribaltano il risultato, col tedesco che prima batte una punizione e segna, l’arbitro annulla, fa ripetere e segna ancora. All’Inter serve soffrire per gioire.

Ma la gioia di Zenga è irrefrenabile, è il successo del portiere tifoso che realizza il suo sogno, vincere lo scudetto.

Arrivano anche trionfi europei dopo lo scudetto 1989, arriva prima la Supercoppa Italiana, poi la prima Coppa Uefa della storia dell’Inter, quella del 1990/91, costellata da rimonte impossibili contro Rapid Vienna e Aston Villa prima della doppia sfida finale tutta italiana con la Roma, chiusa con vittoria nerazzurra all’andata per 2-0 e sconfitta indolore al ritorno per 1-0.

L’unico rammarico per il portiere è di non riuscire a festeggiare in campo causa clima ostile.

Zenga carismatico e istrionico abbiamo scritto, portiere da “Notti Magiche” che i maligni accostano all’uscita errata su Caniggia che costa supplementari, rigori e eliminazione all’Italia, dimenticando che quel gol interrompe la striscia record della competizione con 517 minuti d’imbattibilità.

Ferita aperta quella del 1990 che diventa ancora peggiore nel 1992.

Hanno ucciso l’Uomo Ragno

Nel 1992 esce la canzone degli 883 “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” metafora di come la società consumistica e in mano a poteri economici abbia ucciso la parte eroica e buona dell’uomo, quella che ci dava ancora speranza.

Il ritornello di quella canzone la canta Walter Zenga, estromesso senza spiegazioni dal nuovo ciclo Nazionale con Arrigo Sacchi, che forse in lui vede il simbolo dell’interismo.

Walter si prende due anni di tempo per la rivincita personale.

Sono anni bui in campionato, col titolo 1992/93 scivolato per poco contro il Milan di Capello e la stagione 1993/94 chiusa con un solo punto di vantaggio sul Piacenza quart’ultimo l’ultimo atto del portiere è in campo europeo.

Il riscatto passa dal suo giardino preferito, finale della Coppa Uefa contro l’Austria Salisburgo, con uno Zenga che ha già capito che quella sarà l’ultima sinfonia con i colori del cuore. La Gazzetta dello Sport racconta così l’ultimo cantico dell’eroe col numero 1, con un voto 8 alla prestazione:

Jonk firma la vittoria, ma il merito è soprattutto di Walter Zenga. Straordinario in almeno tre occasioni sullo 0-0 e in particolare quando si allunga per deviare in calcio d’angolo un tiro di Artner. Bravissimo anche nel finale, con un paio di salvataggi di piede. Se andrà via dall’Inter lascerà un ottimo ricordo”.

Al minuto 31 della sfida con l’Austria Salisburgo si alza il coro per lui, ottantamila persone scandiscono un solo nome, quello di Zenga. Lui alza le braccia e ringrazia, ma dice anche alla gente di urlare ancora più forte.

Quel canto del cigno deve essere assordante e deve essere leggendario. Proprio come Walter Zenga.

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