EDITORIALE – Quando gufare andava di moda


Vi siete divertiti a gufare la Juventus sabato sera in Champions League? Sì? Vergogna! Siete dei frustrati, dei disadattati sociali, la vostra vita è talmente triste che avete bisogno di godere delle disgrazie altrui. Ebbene sì, questo è il mantra ormai regnante nell’opinione pubblica italiana.

GUFARE? PRIMA SI POTEVA OSTENTARE IN PRIMA PAGINA

L’avete vista la foto di copertina del pezzo? Se magari vi fosse sfuggita, dovete soltanto alzare gli occhi un attimo. Ve la ricordate? Sono passati solo 7 anni, lo stesso arco temporale dall’ultima vittoria della Champions League da parte di una squadra italiana. Ad aprile 2010 Andrea Pirlo, uno dei giocatori italiani più rappresentativi di questa epoca, non il primo pinco pallino qualsiasi, esternava in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport tutto il suo ardore patriottico. Tifare italiano? Una convenzione superata, vuoi mettere il fascino del tiki taka di Guardiola e del suo Barcellona? Per carità, presa di posizione legittima, ma non ci ricordiamo nessuna indignazione, nessun coro di protesta in difesa delle buone maniere e del perbenismo tra connazionali.

D’altronde, non si può sostenere che la squadra a cui faceva velatamente riferimento Pirlo sia stata portata in carrozza verso quella memorabile finale di Madrid. Le settimane precedenti erano segnate dalle voci sull’addio dell’allenatore e sull’incapacità di poter fare affidamento su un esuberante giovane ragazzo italiano. Poi, per carità, Mourinho non perse tempo per rimanere a Madrid, così come il buon Balotelli non si è dimostrato esempio di professionalità nella successiva carriera. Tutto giusto, ma non si può dire che a suo tempo l’ambiente nerazzurro venne risparmiato da eventuali voci disturbanti e snervanti. Non ce n’era bisogno, quella squadra era forgiata per resistere a qualunque tipo di ostacolo. Quando Mourinho giocava al noi contro tutti non lo faceva certo per passatempo o per paranoia. 

Nella settimana che ha preceduto la finale di Cardiff invece, alcuni giornali hanno steso un tappeto rosso che sembrava protrarsi fino all’attimo della consegna della coppa, evento che sembrava dovesse accadere con perentoria certezza. Le testimonianze ve le mettiamo a lato, tanto per non sembrare coloro che costruiscono castelli per aria. Toni e parole trionfalistici, scherno verso coloro che avrebbero assistito al match da disinteressati.

Perché alla fine noi disinteressati lo eravamo davvero. Avremmo fatto forse fatica a sopportare l’ostentazione bianconera della vittoria, ma l’avremmo considerata dovuta e legittima. D’altronde il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti, ci saremmo consolati abbondantemente con la salute, la fidanzata, l’amica, la birra del sabato sera. Noi siamo solo dei tifosi appassionati che non vogliono che il calcio diventi un cerimoniale di gonfia retorica, di falsi sorrisi, di ipocrisia. Ci piace sottolineare la sua dimensione aggregativa e giocosa, dove una presa per il culo unisce molto più di quanto divida. Nessuno ha leso la dignità e il rispetto di nessuno, ci siamo solo fatti una risata dinanzi tanta magniloquente sicurezza, dinanzi ai nuovi Palloni d’Oro e a quelli passati che sarebbero stati in panchina dall’altra parte. E ce la siamo fatta quando abbiamo scoperto che la Juve non era quella di sabato sera, era solo quella del campionato e della Coppa Italia, perché la Juventus non perde, ma impara. Certo che, dopo 7 finali perse, anche i più somari avrebbero ormai appreso tutto ciò che era rimasto da sapere.

Come che vincere non è l’unica cosa che conta. Perché per noi Buffon resterà il numero uno di sempre anche senza Champions, perché non serve vincere sei scudetti di fila, così come una Champions, per divertirsi, sfottere, ridere e scherzare. La sconfitta non è mai stata un motivo sufficiente per rintanarsi in un vergognoso silenzioso pieno di rabbia e rancore. Perciò tuttologi da web, lasciateci perdere con la vostra paternale retorica. Noi sappiamo cosa è il calcio molto meglio di voi e, soprattutto, come va preso.

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