Sarti: “Porto i ricordi dentro di me, non appesi alle pareti. Il 3-1 al Real Madrid gioia immensa, meritavamo quella Coppa”

Ospite della nuova puntata di Memorabilia, in onda questa sera alle ore 21 su Inter Channel, è Giuliano Sarti, portiere rivoluzionario.

Ecco le parole rilasciate nell’intervista:

“Sono arrivato quando in squadra già c’erano Burgnich, Facchetti, Picchi e Guarnieri. La difesa era già fatta, bisognava trovare il modo di farsi capire, anche perché non urlavo in continuazione ma semplicemente suggerivo cosa fare. I portieri raramente uscivano dalla porta in quegli anni. Io nel 1954 iniziai a giocare come si gioca adesso, stravolgendo il ruolo del portiere. Nel ’56 da Lo Buono della Lazio presi gol da 50 metri, perché ero un po’ fuori dalla porta come mio solito, ma disattento”.

“Feci il primo provino al Torino, si giocava al Filadelfia. Io avevo un sistema di gioco in cui coordinavo i miei compagni affinché gli avversari tirassero poco in porta, di conseguenza venivo poco impegnato e l’allora presidente mi disse: non so come giochi, non ti ho quasi mai visto parare”.

 “Eravamo un po’ isolati, il contatto con i tifosi lo si sentiva in campo. Un tifo così dava la soddisfazione di giocare in uno stadio come San Siro, dava una carica eccezionale. Ho passato cinque anni in un ambiente serenissimo, sia per quanto riguarda i tifosi sia per quanto riguarda la società”.

“Era una squadra costruita apposta per sviluppare un certo tipo di gioco. Eravamo così ben assortiti, con Facchetti e Corso che si trovavano a meraviglia. Per noi che giocavamo insieme era bello stare insieme in campo, ci aiutavamo a vicenda per arrivare ad ottenere un risultato”.

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“Erano due caratteri completamente diversi. Quando entravo nello spogliatoio io pensavo alla partita da almeno due ore, ero sempre molto critico anche con me stesso. In allenamento c’era ovviamente un clima diverso. Herrera era un bravissimo allenatore, era un uomo che per capirlo fino in fondo bisognava toglierlo dal campo da calcio. In campo era burbero perché sapeva di non essere amato, ma era un vero comandante”.

“Armando Picchi era un grande uomo, sempre disponibile: a volte si discuteva, ma come finiva il campionato si andava in vacanza insieme”.

“Non ho le maglie dei miei anni da calciatore, ho sempre voluto tenere i ricordi dentro di me e non appesi alle pareti. Le finali le ho vissute tutte serenamente, come quel bel 3-1 al Real Madrid. Fu una bellissima soddisfazione, eravamo una famiglia: squadra, allenatore, dirigenti, è stata una gioia enorme perché meritavamo di vincere la prima Coppa dei Campioni”.

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