GdS – Marco Giampaolo: “Sono cresciuto a pane e Inter”

Marco Giampaolo 48 anni, allenatore dell’Empoli e prossimo avversario dei nerazzurri, si racconta a 360° in una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport.

Il tecnico nato a Bellinzona racconta della sua infanzia, dell’adolescenza, delle scelte politiche e religiose e di come cambierebbe le regole del calcio, ma prima di tutto parla della sua fede interista.
“Quando papà andava a giocare con gli amici, usciva sempre con una sacca nera e azzurra per la tuta e le scarpe. A casa, se parlava di calcio, parlava dell’Inter di Herrera”. Così inizia a parlare l’allenatore meno pagato della serie A che domani sfiderà il più pagato del nostro campionato. Ed ancora “Io fin da piccolo sono cresciuto a pane e Inter…”.
Poi il mister dei toscani racconta la sua adolescenza passata senza pensieri, senza orari e soprattutto in strada che, a suo parere, “Insegna a vivere, a cavarsela da soli ed è il posto dove crescono i migliori, come Maradona”. Se si parla di idoli invece Giampaolo non ha dubbi “Ero uno sbarbato interista in mezzo a tanti juventini e impazzii per Madjer, il tacco di Allah, ma fu un sogno breve. Fu molto più concreta l’ammirazione per Salvatore Bagni”. Dell’ex calciatore di Napoli ed Inter ammirava la spontaneità, il sacrificio e lo spirito e provava ad imitarlo in tutto, compreso nel modo in cui portava i calzettoni, abbassati sulle caviglie.

Poi tra un aneddoto sugli amici, sulla scuola, sulla politica e sulla religione, il tecnico che dice di non tradire il suo 4-3-1-2 neppure durante l’intervista, dice come vorrebbe cambiare il calcio “Se avessi una scuola calcio, metterei regole chiare: per cominciare, maglie e pantaloncini si portano da casa perché il kit “vero” si deve guadagnare, non te lo danno solo perché ti iscrivi; genitori o accompagnatori non entrano, almeno si evita di vedere gente dietro le reti di recinzione che parla ai figli, se va bene dà consigli all’allenatore e se va male gli inveisce contro. L’educazione è tutto: nel rapporto allenatore-giocatore, di qualunque età, come in quello fra società e tifosi. Sono stato un esempio vivente di come si rischi il corto circuito in caso contrario, ma giuro che lo direi anche se non mi fosse capitato quello che mi è capitato a Brescia”.

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