Editoriale – Interisti, quest’anno per sognare non c’è bisogno di dormire, c’è già la realtà

Mezzanotte e mezza. E’ passata un’ora abbondante dal triplice fischio di Orsato e il tifoso interista, seduto sul divano, oppure sdraiato a letto, è preda di istinti e reazioni opposte. Magari sarà ancora incazzato, perché quando ha visto Jovetic e Miranda prendere quel doppio palo nei 30 secondi finali non ha saputo trattenere la rabbia, avrà percepito lo spudorato godimento di tutta Italia, di quel saccente popolo calcistico che da mesi si ostina a parlare di una squadra brutta, fortunata, in cima quasi per caso per merito delle parate di Handanovic e di una determinata parte del corpo. Oppure starà ridendo perché è successo tutto il contrario di tutto e perché ha finalmente capito di essere tornato a tifare una squadra con la S maiuscola, una compagine che da anni si muoveva impaurita, fragile, scossa sui campi di tutta Italia e che invece, adesso, affronta tutti a testa alta in qualsiasi condizione e noncurante degli ostacoli che appaiono lungo il cammino. Ride perché pensa alla tanta carta straccia letta qua e là, alle diffuse opinioni ascoltate in salotti televisivi irrispettosi di un lavoro che sta andando avanti con successo, che vede persone ben preparate versare sudore e mettere entusiasmo, fatica e personalità. Thohir, Ausilio, Mancini, i giocatori, tutti stanno dando il massimo per far tornare l’Inter ai massimi livelli di competitività. Ma chi non tifa Inter come può ricordare i 4 goal presi in casa dal Cagliari, i pareggi interni contro le derelitte Cesena e Parma,  Acquafresca e Di Vaio che fanno i fenomeni a San Siro, i 5 goal realizzati dall’Udinese, una  flaccida squadra che, dopo l’inesistente espulsione di Obi (ma tu guarda i ricorsi storici…), si fa affossare da un Napoli trionfante per 3 reti a 0? Chi non tifa Inter, o almeno non l’ha tifata negli ultimissimi anni, come può apprezzare i successi ottenuti con le unghie e con i denti a Torino e a Bologna, la voglia di credere alla vittoria fino alla fine contro Atalanta e Carpi quando le gambe ancora non giravano a dovere, la scioltezza nell’imporsi a Verona, la straordinaria forza mentale, tecnica e fisica di un gruppo che a Napoli fa la partita in inferiorità numerica e si prende solo il fregio morale di un pareggio rimasto meritato sulla carta, ma non attuato.

Tifosi interisti, non curatevi di Bargiggia che ha ancora il coraggio di aggrapparsi a una presunta bruttezza estetica, non vi avvelenate quando leggete pareri di allenatori che, per paura di finire nell’anonimato o in secondo piano per il logico inghiottimento del tempo, sparano a salve sul lavoro di illustri colleghi dall’alto di un trono sul quale si compiacciono di sedere, abbiate la forza di non dare troppo peso ai prossimi argomenti messi per iscritto, lo scarso momento di Icardi, Kondogbia pagato troppo e chi più ne ha più ne metta. Fidatevi di chi vi sta permettendo di tornare ad affrontare gli inizi di settimana con il sorriso sulla bocca, di chi vi sta consentendo di avvicinarvi al week-end con serenità, fiducia e convinzione. Fidatevi delle risposte che sta dando il campo, degli sforzi che ogni giocatore sta compiendo per collaborare alla causa, fidatevi di Ljajic che ci mette la qualità ma anche il cuore e la voglia, fidatevi di Miranda e anche di Murillo nonostante le piccole nefandezze di questa serata, fidatevi di D’Ambrosio che riemerge dall’anonimato ma anche di Nagatomo che prova ad andare oltre i suoi limiti, fidatevi di Jovetic che in 10 minuti fa la differenza ma anche di Icardi, che ha più maturità di quella che traspare all’esterno e più talento di quanto non riesca a mostrare attualmente. Non illudetevi di sentir dire che lo strabiliante Napoli così incensato finora è forse la squadra che più dipende da un singolo giocatore, il migliore che calca i terreni italici. E per carità, non è mica una colpa. Peccato che non lo sia nemmeno avere un portiere e una difesa che ti permettono di vincere anche con un solo goal, oppure due mediani che più che il fioretto amano armeggiare la clava per proteggere la squadra. Ognuno deve pur sfruttare le armi che ha. Non illudetevi nemmeno di vincere lo scudetto, le squadre sono tante, la differenza è poca e le partite si decidono, come abbiamo visto, per questioni di centimetri. Non illudetevi di essere nemmeno i più forti, quello lo si saprà solo a maggio e noi, dopotutto, i nostri limiti li abbiamo e dobbiamo superarli.

Tifosi interisti, siate però felici di essere tali. Siamo frustrati per una sfortunata e bruciante sconfitta, ma sorridiamo perché ci rendiamo conto che non eravamo più abituati a quanto brutto potesse essere perdere uno scontro diretto in questo modo. Forse avevamo totalmente dimenticato cosa fosse uno scontro diretto.  E’ una sfida tra due squadre che aspirano a raggiungere l’obiettivo massimo, tra due compagini che hanno la possibilità di vincere lo scudetto. Per questo il tifoso interista prima di andare a letto si sarà sciolto in una fragorosa risata, non per le liti di Auriemma a Tiki Taka, ma perché si è reso conto che quei due pali gli hanno fatto perdere una partita, ma  hanno aumentato la  sua voglia e la sua capacità di sognare, a dispetto di quello che gli esperti vogliono e possono fargli credere. Allora va’ a dormire tifoso interista, domani è un altro giorno buono per raccontare quanto sia bello essere appassionati di calcio e perdere la lucidità mentale per due colpi di testa andati a male. Va’ a dormire e pensa che sabato c’è già il Genoa per il riscatto, c’è un Gasperini da azzittire, c’è una sconfitta da dimenticare. No, non con il Trabzonspor, ma con il Napoli di Gonzalo Higuain, una squadra che con una sofferenza finora sconosciuta ha la possibilità di scoprirsi ancora più forte e resistente. Va’ a dormire e pensa che sabato potremmo pure riperdere per il contraccolpo psicologico. Io però non penso, magari invece non perdiamo più e lì sì che rideremo ancora e non ci addormenteremo più.

O forse già dormo e sto sognando? No, non dormo, son sveglio. Quest’anno, tifoso interista, per sognare non c’è bisogno di dormire, ma solo di aggrapparsi alla realtà.

 

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