Rotta verso il derby d’Italia, la chiave storica: perché non è una partita come le altre…

Si sostiene che un eventuale calcio senza folklore perderebbe molto della sua capacità di coinvolgimento, ma contemporaneamente si spera nella fine di quell’eterna tendenza in cui la polemica è sempre pronta a sbucare da ogni angolo, da ogni fuorigioco, rigore, cartellino. Inter-Juve è la sfida per eccellenza di due poli opposti, giorno e notte, caldo e freddo, dolce e salato. Normale che i contrasti siano dunque i più evidenti e duri possibili, tremendamente complessi da sopire e placare. Sul piatto ci sono storie ultracentenarie, miriadi di partite e campionati, visioni del gioco e della vita. Gianni Brera, il sommo giornalista sportivo italiano di ogni tempo, diceva che l’Inter è donna, volubile e passionale e perciò discordante col pragmatismo di matrice bianconera. Nulla di più vero. L’Inter è la squadra degli amori tormentati, come quello per un Ronaldo atteso più volte dopo le infinite operazioni al ginocchio, della passione infinita dei Moratti, delle estemporaneità pazzesche di Recoba, delle storie fugaci e intense come Baggio, Adriano, Eto’o, Ibra, Mourinho, delle notti di passione e gioia concentrate in brevi lassi di tempo, dei grandi vuoti di sofferenza e anche dell’incapacità di godersi fino in fondo le proprie vittorie. Loro sono quelli del “vincere è l’unica cosa che conta”, del giocatore che si ama solo se aiuta a sollevare un trofeo, altrimenti è roba inutile. E il romanticismo dove sta? Tra Milito e Ronaldo uno juventino sceglierebbe tutta la vita il primo, ma l’interista rimarrebbe col dubbio fino alla fine, perché sa che un tipo simile al vero Fenomeno non è mai più ripassato dalle parti dei Navigli. Ricordi che non basta una Champions a farli cadere, figurarsi uno Iuliano qualsiasi.

Inter e Juventus sono dunque due mondi opposti, ma le loro orbite si intrecciano regolarmente da miliardi di anni luce. La Grande Inter deposta beffardamente da un nuovo Herrera sbucato all’improvviso dall’anonimato, l’incredibile 5 maggio 2002, Calciopoli, Moggi, Facchetti, il goal di Maicon nel 2010, la linguaccia di Del Piero nel 2006, la serie B, il Triplete a chi sì e chi no, la vittoria pasquale del 2008 della Juventus, lo Stadium sverginato da una doppietta di Milito, lo scudetto del 2006, i cartoni, gli arbitri, il rigore di Ronaldo e Iuliano, Gresko e Poborsky, i legni di Maniche, Eto’o e Recoba, i primi goal di Balotelli, la bordata di Seedorf, la punizione di seconda di Adriano, il goal di Toldo/Vieri, sentenze ignorate da presidenti strafottenti, mani a cui contare le dita, Cannavaro-Carini, Boninsegna e Anastasi, Ibrahimovic e Vieira, Cruz e Icardi che segnano sempre, un po’ come Trezeguet e Camoranesi. Un bagaglio culturale e sociologico che si limita ad abbracciare quasi esclusivamente gli ultimi 20 anni solo per i limiti di età di chi scrive, piccoli e grandi elementi di una rivalità che fa parte della storia e della cultura dell’Italia intera. Non a caso questo si chiama derby d’Italia, la partita più disputata nel nostro campionato di Serie A, le due squadre maggiormente tifate dal popolo calcistico più sfegatato del mondo. Con tutto il rispetto per derby vari e altre rivalità disparate, qua non si combatte per il predominio su una città, c’è un background, un curriculum che rende questa sfida dal sapore unico e speciale. Tutto questo forse non lo penseranno i 22 giocatori che entreranno in campo domani, ma di sicuro i tifosi saranno pronti a registrare un nuovo atto di una sfida sempre memorabile. Nell’arco di questa storia eterna si aprirà un nuovo capitolo o continuerà quello vecchio? Ai posteri l’ardua sentenza.

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