All’insegna della gioventù e della sofferenza

Sangue freddo, un briciolo di terrore, la memoria che tornava a Glasgow e a Guidetti. Quando invece Mazzoleni ha fischiato la fine, l’Inter si è finalmente goduta la terza vittoria consecutiva in campionato, facendo un bel passo in avanti sia dal punto di vista della classifica, che della consapevolezza. Perché solo vincendo si può acquisire la convinzione delle proprie qualità e capacità. Quando si impara a convivere con la sofferenza e a impedirle di far affiorare tutti i propri timori, è il momento in cui una squadra comincia realmente a diventare tale. L’Inter di stasera ha sofferto molto, forse anche troppo, al cospetto di un Cagliari alla disperata ricerca di punti per la salvezza e ricordatosi di ciò solo dopo lo svantaggio. La squadra nerazzurra ha fatto registrare sia i progressi che le difficoltà mostrate negli ultimi match. La volontà e la capacità di fare la partita, indirizzarla sui binari giusti attraverso il bel gioco, il fraseggio, una meraviglia per chi ha vissuto mesi a guardare uno sterile ed orizzontale possesso di palla; da contrappeso ci sono state le solite lacune difensive, quella fatica immane nel conservare il risultato e far sì che gli avversari non riescano a tornare alla carica. Dopo quasi un’ora di match nessuno si aspettava una reazione così veemente dei sardi, sempre tenuti a bada in precedenza e obbligati ad essere riconoscenti a Brkic e alla scarsa freddezza nerazzurra sotto porta. Invece M’Poku e compagni hanno fatto sudare le proverbiali  sette camicie a Vidic e compagni. Già, Vidic, l’uomo che sembrava essere entrato in rotta di collisione col nostro allenatore, ha tirato fuori l’esperienza e la caparbietà che lo hanno reso uno degli stopper migliori dell’ultimo decennio. Ha guidato il rude Campagnaro e l’ancora spaesato Jesus ad una resistenza quasi eroica. Molti hanno pensato che l’Inter fosse sul punto di cedere, invece non ha ceduto e ciò fa tutta la differenza di questo mondo e di questo sport. E’ questo il confine che deve essere travalicato per passare dalla mediocrità alla grandezza. Una rondine non fa primavera, ma 3 indizi compongono una prova e allora, dopo tre vittorie, si può dire che questo gruppo sta uscendo dalle sabbie nobili nelle quali era sprofondata.

Vittorie che, ancora una volta, hanno il timbro di una gioventù che non perde la sua classica sfrontatezza, ben mascherata dietro il talento, l’umiltà e l’abnegazione. L’umiltà di quel Kovacic invocato a destra e a manca, in grado di segnare dopo quattro panchine consecutive e l’abnegazione di un Icardi che fra una Wanda Nara, un rinnovo del contratto e un pantaloncino rigettato, dimostra di essere un centravanti straordinario. Un dribbling e un tiro maestosi, per dare la certezza della vittoria e condividere il primato di capocannoniere con il più celebrato Tevez. Perché se da una parte la sofferenza e l’esperienza servono a mantenere i successi, c’è bisogni di qualcuno che li fabbrichi e i nostri giovani hanno tutte le qualità possibili per fare in modo che ciò continui ad accadere con la stessa continuità.

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