TS- Juan Jesus: “Mazzarri? La colpa è di tutti. In Serie A troppi simulatori”

Intervistato da Tutto Sport, il difensore nerazzurro Juan Jesus tocca tutti gli argomenti caldi in casa Inter. Ecco il testo completo dell’intervista:

MAZZARRI– “La colpa non è solo sua ma è anche nostra e della società. La gente poi se l’è presa con lui perché era l’allenatore ma se avessimo fatto il nostro lavoro bene oggi sarebbe ancora qui”. 

FISCHI– “Capisco che i nostri tifosi erano abituati a vincere tutto e quindi comprendo la loro delusione però, durante la partita, devono aiutarci: contro il Saint-Etienne eravamo a San Siro ma sembrava fossimo in Francia. Loro possono anche avercela con un allenatore o un giocatore ma non si può entrare in campo e venire fischiati per un passaggio indietro. La curva ha sempre sostenuto tutti ma io, dal campo, so chi fischia e sono soprattutto i tifosi di tribuna dietro alla panchina”. 

DIFESA– “Giocando a tre, potevo portare di più palla perché se mi sganciavo, sapevo che c’era Vidic dietro di me, a quattro bisogna rimanere più bloccati. In marcatura poi, se giochi a quattro devi stare più stretto mentre a tre, di fatto, con i terzini si è in cinque a difendere. Però fondamentalmente non cambia granché: se sei bravo a marcare, puoi anche essere quattro contro dieci”. 

MILAN– “Toglierei il portiere… Scherzi a parte Menez, perché è veloce e molto agile”

DIFFICOLTA‘- “Sono abbastanza veloce ma soffro un po’ quelli più bassi di me. Ho fatto una gran fatica con Biabiany e col Papu Gomez. Però me la sono cavata con Cavani, Higuain, Balotelli e anche con Okaka, che tutti elogiano ma non mi ha dato problemi”. 

IBARBO– “Nella partita col Cagliari non c’eravamo con la testa e abbiamo regalato tutto noi. Lui è bravo e ha qualità, ma quel giorno l’abbiamo fatto diventare Cristiano Ronaldo”. 

SIMULATORI“In Premier il calcio è più fisico come piace ai tifosi, per questo viene fischiato chi, simulando, cerca di rovinare lo spettacolo. In Italia devono capire che il calcio è uno sport di contatto, non è il tennis. Gli attaccanti devono accettare di prendere un po’ di botte: Cuadrado, per esempio, è un giocatore che si butta appena ti avvicini a lui”. 

TEVEZ– “È l’avversario ideale perché ti mena pure: con lui ho giocato due o tre volte, sempre botte e botte. Lui, se vai sul pallone, non dice niente ma se provi a fare qualcosa di antisportivo, per esempio alzare il gomito, si incazza subito. Con Llorente è lo stesso: le botte si danno e si prendono. Il calcio, per essere spettacolo, deve anche essere un po’ una guerra”. 

PALACIO “È la solita vecchia storia: se fai sempre gol, sei un mito. Se vai in difficoltà hai tutti contro. Lui si è infortunato, ha giocato un buon Mondiale ed è tornato a Milano con la caviglia dolorante e senza aver fatto il ritiro con noi. Ora sta recuperando bene e il derby può essere la partita giusta per sbloccarsi: dopo tutto, nell’ultimo che abbiamo vinto, ha segnato di tacco”. 

DERBY “È la partita che ci voleva: siamo ancora vicini al terzo posto e, se vinciamo, superiamo il Milan. Fin qui abbiamo gettato via qualche punto ma è ancora molto lunga: l’Inter non può non puntare a tornare in Champions”. 

NUMERO 5- “In Brasile ho sempre giocato con la 4 e la 6: la quattro era di Zanetti e la sei l’aveva Silvestre. Quando Stankovic ha lasciato, gli ho chiesto se potevo prendere la sua maglia e lui mi ha detto “prendila e stai tranquillo che farai bene”. Ecco, spero di portarla per tanti anni ancora”. 

COME ZANETTI “So che è un bell’impegno. Ho 23 anni, magari arriverò a 40: noi all’Inter abbiamo l’opportunità di fare meglio di chi ci ha preceduto. Non so neanche quando scade il mio contratto (2018, ndr) a Milano sono felice e devo pensare al presente e a lavorare per l’Inter. Se poi loro non mi vorranno più, sarà una scelta della società”.

MIGLIORARE– “Nell’attenzione. Quando sono affaticato, tendo a perdere la concentrazione per la fatica. Poi devo migliorare a usare il piede destro”. 

MOTIVATORE– A me per motivarmi basta arrivare alla Pinetina e sapere di essere in una grande squadra: tra quelli con cui giocavo a quindici anni, sono l’unico che è arrivato a questi livelli”. 

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