Napoli-Inter 4-2, la lavagna tattica

Ritorno amaro quello di Mazzarri al San Paolo, sia dal punto di vista ambientale che da quello del risultato finale. Alla vigilia tutti i riflettori erano puntati sui due mister e sui loro trascorsi: da una parte Mazzarri ed il suo miracolo napoletano lasciato a metà, dall’altra Benitez e la sua voglia mai dichiarata di rivincita nei confronti di un ambiente al quale non è riuscito mai realmente a legarsi empaticamente. Due tecnici che conoscono molto l’uno dell’altro e che decidono di sfidarsi senza sorprese nè stravolgimenti. Canonico 3-5-1-1 per il tecnico di San Vincenzo che preferisce Rolando a Juan Jesus; 4-2-3-1 spagnoleggiante per l’ex tecnico di Valencia, Liverpool e Chelsea con Reveillere esterno difensivo sinistro, Dzemaili ed Inler coppia di centrali in mediana, Callejon, Martens ed Insigne a suggerire per El Pipita Higuain.

L’ANALISI TATTICA

COSA HA FUNZIONATO – Possesso palla, fraseggio lungo e corto, attacco della profondità, chirurgico cambio gioco, pressione coordinata, per lunghi tratti del primo tempo, avevano lasciato immaginare un epilogo della gara diverso. Per lunghi tratti i nerazzurri hanno fatto la gara, con un possesso di palla tattico ed una trasmissione della stessa che ha intimidito la squadra azzurra costringendola a chiudersi per, poi, puntare, un pò per scelta un pò per necessità, su ripartenze ficcanti ed efficaci. Gli esterni difensivi del Napoli non sono riusciti mai ad alzarsi, preoccupati dagli inserimenti degli esterni nerazzurri, dai tagli degli interni e dall’allargamento di Palacio e Guarin. Anche l’attacco sistematico della zona alle spalle dei due mediani ha funzionato benissimo e, spesso, ha comportato l’uscita di un centrale difensivo, lo schiacciamento degli esterni bassi, con la conseguenza di liberare lo spazio laterale dove potersi infilare, anche in considerazione delle scarse attitudini di Insigne alle diagonali difensive. Da un punto di vista delle prestazioni individuali, ottima prova di Rolando che, nonostante un trattamento cinico da cavia di laboratorio tattco, è emerso per caratura, tecnica difensiva e spessore, di Cambiasso che ha dato sfoggio di tutta la sua classe senza età e di un Guarin carico e mai domo.

COSA NON HA FUNZIONATO – Se fino alla scorsa partita la coperta si era dimostrata troppo corta, nella partita con il Napoli si è dimostrata addirittura cortissima. Errori individuali da campetti di periferia (clamoroso come Nagatomo interpreti in maniera così bipolare la gara subendo quasi uno sdoppiamento di personalità quando deve attaccare o difendere e clamoroso come Campagnaro pretenda di avere la lucudutà e la sveltezza di pensiero di un Pirlo o di un Thiago Motta quando, invece, si ritrova ad essere soltanto un discreto marcatore), l’incapacità cronica di garantire le coperture preventive, in grado di far abortire in partenza ogni forma di ripartenza avversaria, e di eseguire correttamente le transizioni negative hanno vanificato quanto di buono fatto in fase di costruzione. La difesa, costretta spesso a lavorare a palla libera e scoperta, intimorita ha abbassato il baricentro, non volendo rischiare di tenere la linea troppo alta, con il risultato di allungare la distanza tra i reparti e di conseguenza la squadra. La sensazione è che per provare ad avere un atteggiamento più propositivo e spregiudicato, i centrocampisti interisti finiscano per sguarnire il reparto, facendo mancare densità, filtro, copertura e compattezza. Non si può pretendere che il solo Cambiasso si accolli tale onere. Sarebbe il caso (e lo ribadiamo) di piazzare una diga di due mediani davanti alla difesa per consentire agli esterni di alzarsi anche contemporaneamente ed a tre riferimenti offensivi di portare invisività in avanti. Potrebbe essere una possibile soluzione non solo ai problemi di questa Inter ma anche al suo paradosso più grande: come è possibile subire ogni partita le ripartenze avversarie nonostante ci si schieri con il 3-6-1 (0 3-5-1-1 o 5-3-1-1, fate un pò voi)?

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